Felicità a piccole dosi.

Oggi vorrei parlare della felicità, quella vera intendo. Avete presente quando provate quella gioia immensa che vi sembra che pure Di Battista faccia discorsi sensati? Ecco quella.

Per esempio, stamattina ero veramente felice, no, non sereno, ma felice, poi sono uscito di casa, ho preso la macchina, così, felice. Fatti trenta metri un tipo in bicicletta ha tirato dritto alla rotonda e per poco non lo sdraio.

Non so se ci avete mai fatto caso, ma i ciclisti hanno questa convinzione innata che la strada sia loro, quando cavalcano quel sellino il codice stradale cessa di esistere. Le rotonde sono solo delle inutili variazioni alla loro traiettoria spazio-temporale. I colori dei semafori? Un suggerimento! Se è verde vai sereno, se è giallo continua a pedalare, qualcuno si fermerà. Se è rosso, non è un problema tuo, tira dritto e alza il dito medio. Si ritrovano in gruppi, si danno appuntamento come i piccioni di Piazza San Marco. E poi partono, tutti insieme, occupando entrambe le carreggiate. E parlano fra di loro, si godono la giornata e ogni tanto…pedalano. Sono degli esemplari pacifici, ma non azzardarti a infastidirli. Cioè, magari dopo cinquanta chilometri che stai in auto dietro di loro, ti sei un po’ rotto i coglioni e vorresti provare a superarli per tornare alla tua vita normale, non che tu abbia chissà che di urgente da fare, ma se avessi voluto farti un’ora di strada a dieci chilometri orari avresti preso la Fi-Pi.Li. E allora azzardi un timido colpetto di clacson, quasi impercettibile, giusto per chiedere cortesemente ai centauri del pedale di farti passare. Pazzo! Un gesto scellerato! Quelli si allargano, come le acque del Mar Rosso, ma tu non sei Mosé e neanche Moser. Ti lasciano insinuare nelle viscere del “gruppone” ma esattamente a metà percorso la marea di manubri e sellini si richiude intorno a te e ti ritrovi immerso in un mare impetuoso di vaffanculo, sputi e manate sul tettino. Che ti verrebbe voglia di comprare una falciatrice con apertura alare e passarci sopra un paio di volte giusto per….ma parlavo della felicità, no?, questo desiderio viscerale di rendere feliciti tutte le persone. Anche quelle che proprio non sopporti. Quando sei veramente felice ti verrebbe voglia di abbracciarle, forte.

Mi capita la stessa cosa con i pedoni che attraversano all’improvviso. Vorrei buttare loro le braccia al collo e abbracciarli forte…molto forte…troppo forte.

I pedoni…quasi peggiori dei ciclisti. I pedoni sono quegli animaletti curiosi, tipo i suricati dell’Africa meridionale che stanno in piedi su due zampe, guardano freneticamente a destra e sinistra e poi improvvisamente scattano. Ecco, i suricati urbani scattano improvvisamente a mezzo metro dal tuo cofano, così, senza un motivo apparente e tu sei costretto a piantare una frenata che ti fa battere una craniata nel vetro anteriore. Stai lì impietrito pensando “va bhe, porelli, magari hanno fretta” e invece no! I pedoni fanno questo scatto felino alla partenza ma a metà della strada rallentano, perché per loro sono arrivati! Cioè, hanno raggiunto il loro scopo, prendere possesso della carreggiata. E ora si godono il tragitto fino all’altra sponda fischiettando Maledetta primavera di Loretta Goggi. I pedoni, a differenza dei ciclisti, odiano tutti! indistintamente. Il loro più grande desiderio è quello di possedere un fucile a pompa e sparare, così, a cazzo di cane su chiunque si palesa davanti. Sugli automobilisti indisciplinati, sui ciclisti in gruppo, su quelli con gli scooteroni. Si sentono i protagonisti di “La notte del giudizio”, anche di giorno.

La felicità, dicevo, la felicità e quel sentimento che si contrappone alla tristezza, al dispiacere…alla rabbia.
Ecco, la rabbia. Per esempio, sei felice e decidi di chiamare tua madre, così, per sentire come sta e magari trasmetterle un po’ del tuo stato vitale celestiale. Squilla il telefono, lei risponde, ma tu sei in una zona con poco segnale, oppure hai Iliad. Comunque, inizi a parlare e lei non sente e inizia con “Pronto?” – “Si mamma, mi senti?” – “no, non sento” – “come non senti?, se mi rispondi senti!” – “Come?, non sento. Pronto, pronto!”. E alla fine ti incazzi, tu! Cioè, non hai segnale, lei non sente, ma la colpa è sua! Peggio di questo c’è solo la situazione in cui tu chiami qualcuno, il telefono squilla ma quello rifiuta la chiamata. E tre secondi dopo ti arriva quel messaggio preconfezionato “Posso chiamarti più tardi?”. Sì, puoi chiamarmi ma sappi che mi hai già fatto girare i coglioni.
La felicità….ah si…la felicità come opposto del dolore. Tipo che sei felice, volteggi lungo il corridoio di casa e sbatti il mignolo del piede sulla cassapanca di nonna. E per un attimo ti sembra di vederla nuovamente, tua nonna e vedi anche tutti i santi del Paradiso e provi un dolore così forte che se avessi una pasticca di cianuro la prenderesti per porre fine a quella sofferenza.

Quando sei felice sopporti tutto e tutti, gli altri giorni invece ti incazzi con il cane del vicino che abbaia, con quelli del gruppo whatsapp del calcetto che mandano i buongiornissimi alle sei di mattina. Ti incazzi con quelli che non si incazzano mai, avete presente? Quelli serafici, che sorridono amabilmente. Dei potenziali assassini seriali, probabilmente anche loro ogni tanto vedono la nonna, magari la conservano a pezzi dentro al freezer. O peggio ancora ti incazzi con quelli che ti dicono “stai calmo”. Se vedi che mi sale la rabbia lo “stai calmo” è il detonatore. No, porca puttana, io non sto calmo, io voglio esercitare il sacrosanto diritto di mandare tutti a fanculo e incazzarmi come una pantera. Basta, distruggiamo le lobby degli “staicalmisti” e facciamo trionfare lo “staicalmouncazzismo” – Dai, stai calmo. – Stai calmo un cazzo!-

La verità è che la felicità è uno stato d’animo fragile, basta un niente per mandarlo in frantumi, essere felici oggi è impopolare, una roba da sfigati. Il vero uomo è forte, determinato e incazzato nero. E anche le donne devo essere così per farsi rispettare. Le vogliamo decise, intraprendenti, ambiziose, spesso sono costrette ad arrabbiarsi il doppio di noi uomini per essere credibili. Come se la predisposizione a incazzarsi fosse l’unità di misura del rispetto. Roba da mettere sul curriculum “Conoscenza del pacchetto Office e ottima padronanza dell’incazzatura immediata”.
Penso che esista un sistema di vasi comunicanti dentro di noi, un principio fisico secondo il quale se cala la felicità aumenta la rabbia e viceversa. La sensazione è che la felicità sia considerata una debolezza, qualcosa da denigrare, da sminuire, come se ci fosse una sorta di paura latente nei confronti di chi è felice. E allora mi viene da pensare che il rispetto non si guadagna sbraitando il proprio disappunto, ma combattendo per una felicità comune. Sarò un idealista, forse l’ultimo degli idealisti, ma continuo a credere che i veri sovversivi siano le persone felici.