La differenziata salverà il mondo.

Dove vivo io non ci sono quartieri, quelli li lasciamo alle grandi città, qui siamo in provincia e ci sono i rioni. Raggruppamenti di case, di persone e di storie, simili a tante altre ma allo stesso uniche. Noi ci proviamo a mantenere un certo distacco e una nostra privacy, ma si finisce inevitabilmente di conoscere i cazzi di tutti gli abitanti del rione e loro i nostri, ovviamente.

Siamo persone semplici, ogni tanto proviamo ad atteggiarci a manager impegnati, ma il risultato non è credibile. E siamo abitudinari, i rituali ci rassicurano, le novità ci spaventano e sul momento non le accettiamo, protestiamo, ma alla fine, lo sappiamo già, ci adegueremo, magari sbuffando, ma lo faremo.

Ecco, nel mio rione una settimana fa è iniziata la raccolta differenziata. “Embè?” direte voi, giustamente. Ormai la fanno tutti la differenziata, è sinonimo di civiltà e di rispetto per l’ambiente. Parole sacrosante, ma per noi del rione è comunque una novità. Noi eravamo abituati a separare la carta dalla plastica e già così ci sentivamo un gradino sopra a Greta Thunberg. Lungo le strade c’erano tre cassonetti, il giallo per la carta, il blu per la plastica e lui, il grigio, il grande vecchio, il “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”: l’indifferenziata!
L’indifferenziata è il “cazzonesò” dell’immondizia. Come quando ti chiedi dove vada buttato il cartone del latte, ci pensi un po’ e alla fine opti per un “cazzonesò, indifferenziata. Alé!” Il cassonetto grigio è rassicurante, ci consola, come quando rovesciavo il caffelatte nel letto e mia madre mi diceva “non preoccuparti, ci penso io”. Che mi veniva voglia di abbracciarla stretta. Ecco, il cassonetto dell’indifferenziata è così, ti alleggerisce dai tormenti, si fa carico lui del tuo tetra pack, del tuo sughero, dei pannolini dei tuoi figli. Il cuore grande del cassonetto grigio non ti lascerà mai solo.

Ma c’è un pianeta da salvare, ognuno deve fare la propria parte e allora tutti noi abitanti del rione ci siamo ritrovati in fila per la distribuzione dei nuovi bidoncini, da tenere in casa, o sul terrazzo, o in garage, o in qualunque altro posto ma non in strada. O meglio, in strada sì, ma nei giorni stabiliti. È finito il tempo di buttare l’immondizia alla cazzo di cane. Ora è tutto, preciso, definito e regolamentato.

Mentre ero lì in fila per ritirare i bidoncini ascoltavo i dubbi e le incertezze degli altri rionali. C’era chi si domandava come smaltire il cartone di pizza impregnato di mozzarella, chi chiedeva dell’alluminio, chi delle lattine. Ci confrontavamo tra di noi cercando di darci coraggio, mentre gli addetti alla distribuzione si limitavano a rispondere che era tutto scritto nel volantino illustrativo, ostentando un freddo distacco.
Lì ho pensato che i bidoncini non fossero sufficienti a contenere tutto quello che le persone hanno bisogno di smaltire. Servirebbe un contenitore per le delusioni, uno per le giornate storte, uno enorme per la rabbia, da svuotare almeno tre volte al giorno. Servirebbe un contenitore per gli sbagli che non riusciamo a perdonarci, per le frasi taglienti scagliate per ferire, ci vorrebbe un bel bidoncino per i rospi ingoiati, per i nodi alla gola, per certi rimorsi che non ci lasciano in pace. Servirebbe un compromesso: togliete il cassonetto dell’indifferenziata ma dateci quello dell’indifferenza, che se riuscissimo a gettarne via un po’ avremmo qualche chance in più di salvare il pianeta.