Tutti gli incroci di via Marconi. (28/05/1974)

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Eccoti qua, quarant’anni domani e non hai nessuna voglia di fare bilanci e questo non è buon segno, no, assolutamente non è buon segno. Già, perchè i bilanci ti costringono a guardarti dentro, certo, puoi bluffare, ma avrebbe senso?

Eh no, caro il mio Francesco, sarebbe ora di darglielo veramente un senso e non solo a questo post. Ed è inutile che fai quella faccia, son quaranta, e pazienza se te ne senti venticinque, con tutto ciò che questo comporta, tipo, se cerchi di fare il giovane, essere alla moda, ti definiscono un hipster e non si è ancora capito se sia un complimento, ma così, a senso, non suona bene.

E allora, ogni tanto ripensi a quella casa in Via Marconi, dove tutto sembrava semplice e meraviglioso, che a sei anni forse lo era veramente, avevi tutte le scelte da fare, tutte le strade davanti, centinaia di incroci e possibilità, che via via si sono ridotte, ogni decisione comportava una rinuncia, una strada in meno, ma anche una speranza in più.
Ed è giusto così, la vita è fatta di scelte e di rinunce, di anni persi e momenti guadagnati, di persone che si perdono e nuove vite che si incontrano.
È l’idea di noi che saremo in grado di lasciare a renderci immortali, è ciò che di buono riusciremo a trasmettere ai nostri figli che ci farà capire che comunque vada ne sarà valsa la pena.

Capirai che con il passare del tempo le tue priorità cambieranno e a quarant’anni non hai molte scuse, devi sapere dove vuoi andare, non ci son cazzi, le persone si aspettano determinate cose da te e devi essere in grado di darle, o almeno devi dimostrare che ci stai provando. Seriamente. È il momento dei gesti concreti, non c’è molto spazio per le utopie fantasiose.
Questo è quello che vorrebbero da te. Ma non sanno che i tuoi sogni sono ancora là, che anche se proverai a soffocarli loro non ti abbandoneranno, che ci saranno sempre dei piccoli momenti in cui usciranno con un impeto sorprendente e ti costringeranno a non rassegnarti. A non abbandonarli.A non dimenticarti di loro.
Già, perchè ti renderai conto che esternamente le persone possono cambiare, ma la loro vera natura sarà lì a ricordare chi sono veramente.

E allora arrivare a quarant’anni non vuol dire un cazzo, le tue paure non svaniranno, le tue emozioni non ti lasceranno andare e quel nodo allo stomaco non scomparirà. E devi sperare che sia sempre così. Perchè sarebbe un peccato se accadesse davvero.
Si ok, non è stato tutto semplice, un pò di veleno lo hai ingoiato e un pò lo hai fatto ingoiare, hai imparato a non aspettarti granchè dai favori fatti, che spesso è più comodo far finta di adattarsi, che ci sono strade più comode per farsi dare un osso, ma che in fin dei conti le strade troppo facili portano sempre guai e l’osso potrebbe andarti di traverso, hai imparato che chi ulula più forte spesso è quello che ha meno ragione, che le tue convinzioni non hanno bisogno di conferme, che nessuno puo’ dirti cosa è giusto o sbagliato, che ci sono scelte facili e altre difficili e poi ci sono quelle che non troverai mai la voglia di fare. Hai imparato che le bambine che conoscevi sono già tutte spose e allora non è il caso di stare a perdere troppo tempo

Hai imparato che sei arrivato qui un po’ randagio e un po’ coccolato, con sentimenti asciutti e con temporali di emozioni, un po’ vigliacco e un po’ eroe, rinnegato, accolto, sfruttato, esaltato, giudicato e amato. Ma tutto sommato vivo.

Quindi France, rilassati, goditi il momento e anche se le cose non cambieranno mai non sarà poi così male. Alcune resteranno qui per sempre, proprio come quella casa in via Marconi. Perciò fa buon viaggio. E per questa notte, comunque, ancora, dovrai tirare avanti così.

“Quando si hanno vent’anni, si pensa di aver risolto l’enigma del mondo; a trent’anni, si comincia a rifletterci sopra, e a quaranta, si scopre che esso è insolubile.” August Strindberg, La saga dei Folkungar

Il volo del gabbiano.

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C’è un’età in cui inizia una spasmodica ricerca della felicità, non è una data precisa sul calendario, direi piuttosto che è una lenta presa di coscienza che comincia a farsi sentire , come un rumore di fondo, quasi impercettibile che cresce ad un ritmo costante, fino ad arrivare al punto di non poterlo più ignorare. Inizia da quando siamo bambini e non ci abbandonerà mai più.

A vent’anni ero convinto che la felicità fosse contenuta nelle grandi imprese, non c’erano mezze misure, era buio e luce, il caldo ed il gelo, il niente ed il tutto, disfatta e vera gloria. Il successo, quella era l’unica unità di misura della nostra felicità, di quanto riusciamo ad emergere dalla massa, di quanto la nostra persona si distingue dalle altre, di quanto la nostra aquila volerà in alto, di quante emozioni forti avremo nel più breve tempo possibile Tanto più avremo successo, tanto più saremo felici.

Crescendo ho imparato ad apprezzare le piccole cose, ho realizzato che la felicità non è contenuta solo nelle epiche imprese, ma risiede nei piccoli gesti quotidiani, è lì, alla portata di tutti, basta saperla cogliere.

E’ nella mattina che profuma di caffè, nella radio che passa una musica che vibra, nel rientro a casa la sera e avere qualcuno che ti regala un sorriso.

La felicità è nelle piccole emozioni, quelle in punta di piedi, nelle parole ascoltate al momento giusto, nelle grida dei bambini all’uscita di scuola, nella stretta di mano di un amico che ritorna. E’ in un libro letto seduto all’ombra di ciliegio.

Ho Imparato che la felicità è camminare in una pineta dopo che è piovuto, fare un viaggio in due cantando a sguarciagola, è un bambino che si addormenta fra le tue braccia, ricevere un messaggio inaspettato e stare ore con le bocche incollate al telefono a chilometri di distanza.

Ho imparato che la felicità sta in un foglio bianco da riempire di parole, in un mare in tempesta che ti fa bruciare i polmoni di libeccio e salmastro, nella tua città alle tre di notte silenziosa e ammaliante.

Ho imparato che la felicità è voltarsi e trovarla nel letto e passeresti ore a guardarla cercando di indovinare i suoi sogni

Ho imparato che la felicità non si misura in numero di successi ottenuti, ma in numero di attimi di gioia regalati a qualcun altro.

Ho imparato che la tua aquila non volerà mai più in alto se non ha il cuore di Jonatan Livingston.

Ho Imparato che la mia lotta per ottenere la felicità era un gioco troppo esagerato e spietato perchè il cuore delle persone come me potesse contenerlo senza esplodere. E allora ho iniziato ad apprezzare quel formicaio di piccoli entusiasmi, cambiando i miei modelli, realizzando che il valore di un gladiatore è pari a quello di Peppino Impastato, che per sentirmi un uomo realizzato non mi serviva l’approvazione delle folle ma il sorriso di mia figlia, non c’era bisogno di uno stadio pieno, era sufficiente un campetto di periferia, che per realizzare il grande trionfo ci sarà bisogno di infinite piccole, quasi insignificanti vittorie.

E allora vado avanti così, cercando di rimanere il più a lungo possibile nella mia provinciale semplicità.

“La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l’amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l’anima respira e grazie alla quale vive”. Banana Yoshimoto, Un viaggio chiamato vita.

 P.s. per una strana coincidenza la mia amica PennyVLane ha scritto un pezzo, come sempre di grande spessore, che parla dello stesso argomento, non è stata una cosa concordata, ma mi fa comunque piacere menzionare il suo blog, perchè come direbbe lei…”E’ bello creare legami con persone che stimo. Oppure: se non la conoscete non sapete cosa vi perdete”.

La piadina degli addii.

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Ogni tanto succede che debba salutare qualcuno, talvolta per scelta mia, altre volte per scelta altrui.

Confesso, che fra le due ipotesi preferisco la seconda, si, è sicuramente meno impegnativa, magari ugualmente dolorosa, ma sapere che l’artefice di tale distacco non sono io mi rincuora.
Può sembrare un concetto egoistico, e forse lo è, però essere dalla parte di colui che subisce mi fa sentire meno responsabile, è un pò come dire “prendo atto della tua decisione, accuso il colpo, ma non posso farci niente”.
È una condizione in cui mi è capitato di trovarmi, non posso fare altro che stringere l’altra persona in un abbraccio e augurarle buon viaggio della vita.

Ma dover essere io a prendere questa decione, bhe, lì è un’altra storia.
Partiamo da un principio: odio gli addii. Siano essi amichevoli o burrascosi. Non trovo mai le parole giuste, balbetto, distolgo lo sguardo, cerco di stemperare la sacralità del momento con qualche battuta idiota. Le parole mi muoiono in gola soffocate da quel maledetto nodo che non ne vuol sapere di sciogliersi.

Ieri è successo. Solo che invece di salutare una singola persona, ho saluto un gruppo. E ammetto che nonostante mi fossi preparato all’evento in modo scrupoloso, cercando di studiare gesti ed espressioni, ecco, nonostante tutto questo…è andata malissimo.
Passare una giornata insieme a loro, scherzare davanti ad una piadina e parlare di progetti futuri con la consapevolezza che non saranno comuni, è stato quasi surreale.

Ci sono addii inconsapevoli, non mi riferisco alla perdita di una persona cara, ma a quelli che a pensarci dopo ti sembra strano essersi perduti così, chi l’avrebbe detto che quella sarebbe stata l’ultima volta che vi vedevate, a saperlo avresti fatto cose diverse, detto parole più prfonde e invece così non è stato e un po’ ti rode che quella persona possa portarsi dietro un ricordo di te così leggero. A pensarci bene, sono i migliori nessuno dei due lo sapeva e non c’è stato bisogno di dire altro.

Poi però ci sono gli addii concordati e quelli sono davvero tosti. C’è chi si prodiga in strette di mano, per trattenersi ancora, chi lascia un saluto veloce e se ne va senza voltarsi indietro, che se lo facesse non partirebbe più, chi si allontana con il viso voltato verso quelle facce, per imprimersi a fuoco nella mente quegli sguardi, chi tira su una valigia di speranze saltando in corsa sopra un treno.

E allora lo ribadisco: odio gli addii. Non credo alle promesse di un nuovo incontro, al giuramento solenne di conversare al telefono, dei “se passi da queste parti vieni a trovarci”. Frasi dette per alleviare il peso del distacco.

Io di solito ringrazio, lo faccio veramente con il cuore, perchè mi sento in debito, anche se loro soridono, anche se loro mi guardano e non capiscono, ringrazio perchè ho già la pena di star lontano, ringrazio per non dire “mi mancherai”. Ringrazio perchè abbiamo mischiato un po’ le nostre vite e, che lo vogliamo o no, non siamo più quelli di prima. Tutte le persone che abbiamo incontrato sono la risposta quando ci chiederemo se siamo esistiti per davvero.

E allora non mi rimane che mettere un sorriso preso a nolo e trovare la forza di dirlo, una volta per tutte: fai buon viaggio della vita.

Ogni stagione è legata all’altra, incontri e addii formano il cerchio, il sacro centro è la nostra armatura, dove tutto cambia, tutto è eguale. ”
Marion Zimmer Bradley, L’alba di Avalon.

P.S. Dedicato ad un gruppo di persone straordinarie con le quali ho trascorso due anni vissuti a pieni giri. Ragazzi…keep calm and tenete botta.