Ok, svelo un piccolo mistero, da un po’ di tempo stiamo (e quando dico “stiamo” mi riferisco al mio nucleo familiare, cane e pesce inclusi) esplorando a piccole dosi il mondo della medicina alternativa. non proprio omeopatica, ma qualcosa di simile.
Oggi ho scoperto le proprietà curative dell’aloe. Già il fatto che la persona che me ne ha parlato assumesse questo prodigio della natura per via rettale avrebbe dovuto mettermi in guardia, ma una volta appurato che era possibile introdurla nel corpo tramite altre vie d’accesso, mi sono lasciato convincere e ne ho ordinato un barattolo.
Ora qui vale la pena aprire una piccola parentesi.
Partiamo dal principio che personalmente non ci capisco una mazza, ma pare che di questa aloe ne esistano una quantità innumerevole di varianti, vabbè, la faccio breve: navigando fra un sito di divulgazione scientifica e uno simile (ma senza la “scienti”), mi sono imbattuto in un articolo di un fabbricante locale di prodotti derivati da questa fantasmagorica pianta.
E’ fatta, prendo il numero e chiamo, me ne faccio preparare un bel barattolo da chilo e oggi pomeriggio mi sono fatto, con la gioia nel cuore, i quaranta chilometri che mi separavano dal raggiungumento del mio scopo.
La padrona della fazenda si è dimostrata molto disponibile, prodigandosi nel decantare le proprietà benefiche del prodotto. E’ un toccasana per le seguenti patologie: serve da filtro e depuratore dell’organismo, distrugge le tossine, introdotte anche dall’inquinamento idrico, atmosferico e alimentare, ristruttura, rigenera e rivitalizza il midollo osseo, è antiossidante, riabilitante ed energetico molto utile dopo le convalescenze, riattiva in modo specifico il sistema immunitario, stimola la produzione di endorfine ed esercita un’azione antidolorifica ed analgesica, utilissimo negli sportivi, tonifica i capillari sanguigni.
E’ particolarmente efficace in caso di emorroidi, artrite, asma, cancro al colon, alla prostata, al seno, ai polmoni, alle ovaie e al cervello; problemi circolatori, diabete, allergie, epilessia, eruzioni cutanee, verruche, eczemi cellulite, psoriasi, bruciature, malattie senili, depressioni nervose, morbo di Parkinson, e malattie degli occhi.
Ok e qui voi (o parte di quelli che sono arrivati al terzo rigo della descrizione), come me, avrete esclamato “cazzo è miracolosa”, forse si, a parte il fatto che in questa descrizione sono stati affiancati le ovaie e il cervello, ma probabilmente l’ha scritta un uomo e quindi…ci sta.
Certo, i metodi di conservazione sono quantomeno…bizzarri.
Puoi stappare il barattolo, ma non puoi richiuderlo, ti è concesso di avvitare leggermente il tappo, ma se lo fai con troppo vigore potresti causare una reazione a catena e distruggere la via lattea. Non deve MAI essere esposta a luce diretta, una cosa tipo Bernardo Provenzano dei tempi d’oro, pena la condanna ad assistere in prima fila a tutti i dibattiti della Santanchè. Infine è assolutamente vietato fare boccacce e smadonnare durante la degustazione del prodotto.
Ora ammetterete che ne è valsa la pena farsi ottanta chilometri (quaranta andata e quaranta ritorno) di sabato pomeriggio mentre tutte (e sottolineo tutte) le persone che conosci sono a cazzeggiare in riva al mare, ma ne è valsa la pena, anche se ti devi sorbire la fermatona della tua dolce metà al mega negozio di scarpe in piena campagna pisana, ma ne è valsa la pena, anche se fra intrugli medicamentosi, autostrada e soggiorno nel paradiso dei calzolai, avresti pagato la retta universitaria alla Bocconi per tutta la durata del corso di laurea di Renzo Bossi. Ma ne è valsa la pena.
Oddio, questa mia ferrea convizione ha iniziato a vacillare quando sono tornato a casa, ne ho preso (come da indicazioni posologiche della “fazendera”) un’abbondante cucchiaiatona. Lì è iniziata una serie catastrofica di eventi.
Ho realizzato di aver stappato il barattolo davanti alla finestra (l’effetto vampiro è stato inevitabile), il sapore m’ha fatto intasare gli orecchi e lacrimare sale dall’occhio sinistro, preso dalla rabbia ho avvitato il tappo come Silvio farebbe con la testa della Boccassini.
Il tutto è durato circa dieci minuti, il tempo necessario per realizzare di essere allergico all’aloe.
Sono giunto dalla guardia medica (mia vecchia conoscenza, vedi “pronto soccorso intimissimi”) rosso come il culo del cercopiteco in amore, con un prurito assurdo alle mani e ai piedi, un giramento di palle da centrale eolica e il solito dubbio che mi attanaglia in queste situazioni: ma sull’aloe (vera o finta non importa)…dove va l’accento?
Ok, il punturone di antistaminico gentilmente somministratomi dal sedicente medico risolverà anche questo problema.
Insomma, nel volgere di poche ore ho santificato il coltivatore di aloe, gli ho infamato la moglie, sputato l’amaro intruglio nella ciotola del cane e sono stato soprannominato “torsolo” (che dalle mie parti è sinonimo di “coglione”) dal dottore, ma almeno mi sono tolto la soddisfazione di mostrare il culo a qualcuno.