IL PASSO IN PIÙ

«Quando è stata l’ultima volta che sei andato a morire?»

«In che senso a morire?»

«A morire, hai presente quelli che stanno sulle ringhiere dei ponti, che guardano giù e un po’ lo invidiano tutto quel gorgoglio di acqua e sassi. Quelli che se ne stanno lì, come stronzi, nel bel mezzo di un ponte, a pensare che basta un passo, uno soltanto e sarebbe tutto finito. Voglio dire, li hai mai visti quelli che sono andati a morire? Lo sai che pensieri fanno? No che non lo sai, non lo sa nessuno. Quelli nelle stazioni, sul bordo del marciapiede, un metro, un cazzo di metro e giù il sipario. Sbam! Andati per sempre, rien ne va plus. È questione di scelte e di distanze. È sempre questione di distanze, quanti passi fare per arrivare alla fine del mondo, quanti farne per tornare a casa, quanto permettere a qualcuno di avvicinarsi senza rimetterci il cuore. Le distanze di sicurezza, che finché non le oltrepassi sei salvo, non dico vivo, ma solo salvo. 

Come gli viene a quelli lì di fare un passo in più? Voglio dire, lo decidono sul momento oppure c’è un piano studiato nei minimi dettagli, una cosa tipo “faccio una doccia, metto l’abito blu che cade bene, sistemo i capelli, lavo i denti, due spruzzate di profumo, salgo sul davanzale della finestra, stando attento a non rovinare le scarpe e volo giù”. Perché bisogna avere un certo stile anche per farla finita. 

Oppure no, magari ti svegli la mattina già con il cazzo girato e chi se ne frega di fare bella figura, cammini lungo via dei molini, fai un cenno con la testa a Giovanna, intenta a cambiare l’acqua ai tulipani, prendi la discesa fino alla croce del saraceno, senti i polpacci che iniziano a bruciare, rallenti e accendi una sigaretta, c’è il mercato, gente che ti sfiora, donne intorno ai banchi di frutta e di vestiti a basso costo, uomini che discutono di politica, di pallone e di certi culi che fanno bestemmiare. Dai una schicchera al mozzicone che vola giù, segui il percorso dell’acqua scorrere davanti a te, che non si vede la fine. “Ma vaffanculo va”. E salti.

Poi c’è sempre qualcosa, un rumore, un suono, il tocco di qualcuno, una cazzata qualsiasi che ti fa prendere di nuovo contatto con la realtà, sei di nuovo lì, in una sala d’attesa, alla fermata dell’autobus, nel tuo ufficio di merda o dio solo sa dove, saranno passati giusto un paio di minuti, qualcuno si sarà preso un caffè, altri avranno, che ne so, preso un taxi, altri ancora non avranno fatto un cazzo di niente, tu sei andato a morire. Niente di clamoroso insomma.

Hai capito cosa intendo? No, non credo, ma non importa».

«Sì, ho capito».

«Quindi? Quando è stata l’ultima volta che sei andato a morire?»

«Non saprei, mi dai una sigaretta?»