Cerca di battere il tempo giusto.

Questo è un post scritto in ritardo, perchè sono così, non mi adeguo a vivere in quattro quarti, spesso mi muovo in sei ottavi e non è sempre facile, non è sempre piacevole. Si perchè se non vai a tempo disturbi, se anticipi ti prendono per il culo, se suoni l’accordo alla battuta successiva storcono il naso, non sei credibile.

Ma come sempre me ne frego e allora eccomi, sull’onda di un’emozione che chissà da dove è uscita, a spendere un pensiero per un artista che ho vissuto, ma, a suo tempo non ho apprezzato, perchè anche lui viveva in sei ottave e allora era un delirio, uno troppo avanti (lui) e l’altro troppo indietro (io).

Uno di quegli artisti che quando lo senti cantare scuoti la testa, non vedi l’ora che scenda da quel maledetto palco, che sparisca dietro le quinte, lui e il suo ridicolo cilindro, i suoi abiti da buffone di corte. E si, ti infastidisce, non lo ammetterai mai, ma non sopporti le sue insulse filastrocche, già, quelle rime irritanti che ti inchiodano ad una realtà che non vorresti, si ti infastidisce perchè non si schiera, ma non rinuncia a denunciare lo schifo che ti circonda.

E allora prendo spunto da una poesia che lo celebra e in questo assurdo post nel cuore della notte mi lascio trasportare, che forse alle tre di notte posso permettermi di scrivere qualche stronzata in più. E se non posso…pazienza.
E allora trattengo un attimo il fiato per dirti che Agapito Malteni parte ancora da Torre a Mare con il locomotore sotto mano, e ci sale l’emigrante e passa da Taranto e Ancona, adesso c’è un nuovo capofortuna, ma non è cambiato granchè, stanno ancora fabbricando case e non smetteranno mai di farsi affascinare dai viaggi a Khatmandu.

No, lo vedi, non è cambiato un cazzo, e tu lo sapevi già, forse è per questo che te ne sei andato prima, si, forse questo è un mondo che vive solo in quattro quarti, perchè è più facile tenere il tempo, perchè non serve essere dei geni per stare “al passo”, perchè chi te lo fa fare di andare contro tempo, perchè se batti un tempo diverso se ne accorgono subito e difficilmente la passi liscia. E magari ti lasci trascinare dagli eventi.

Ma sai che ti dico? Forse loro non lo sanno, ma tu non sei passato, lasciali illudere e continua a sbeffeggiarli, che il tuo ghigno fastidioso è ancora qui, che alla fine avevi ragione tu, che quelli come me l’hanno capito in ritardo, ma quelli come loro non lo capiranno mai

Questa era parte della mia emozione, adesso è meglio mettersi a dormire, che domani devo fingere ancora di vivere in quattro quarti, ed è veramente una bella fatica. Perchè io mica ce l’ho il tuo coraggio.

Oh, dovunque tu sia, ciao Rino.

“C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno! Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni! Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno cosa voglio dire questa sera! Capiranno e apriranno gli occhi, anziché averli pieni di sale! E si chiederanno cosa succedeva sulla spiaggia di Capocotta.”(Prima di suonare Nuntereggae più durante un concerto del 1979)

P.s. Questo post avrei dovuto scriverlo il 2 Giugno, perchè 33 anni fa quella era la data, sono un pò fuori tempo. Pazienza.

La compagnia di un commesso viaggiatore

Foto post pinocchio

Avviso ai naviganti in questo mare. Il post sarà decisamente diverso dagli altri, è un testo sperimentale, che forse non si ripeterà mai più, o forse inizierà un viaggio parallelo. Non anticipo nient’altro, ora la parola passa a voi.

Ci sono un bel po’ di viaggi, intesi proprio come spostamenti fisici, che di solito affronto da solo, con centinaia di chilometri davanti e un sonno bestiale nella testa. Ma a pensarci bene, proprio solo, non sono mai.

All’autogril prima dell’Appennino c’è Jonny Cash che mi chiede di salire, vuole un passaggio fino alle porte di Bologna, il cappotto è nero come la chitarra, la faccia dura come queste montagne, dice “mi spiace, sono solo un fantasma, ma alza la radio e fammi cantare”. “Dai Jonny, canta pure cry cry cry, ghost riders in the sky, e visto che sei tu, ti lascio anche fumare”.

Sull’autostrada, a Castel San Pietro incontro un genovese malinconico, lo chiamano Faber, ha un sorriso pulito, si ostina ad andare in senso contrario con la sigaretta in bocca, canta di ribelli, emarginati e prostitute, ha una maledetta nostalgia di via del campo. Vorrei chiedergli che fine ha fatto Bocca di Rosa, se Teresa è ancora all’Harrys’ Bar e se è stato assolto Don Raffaè. Dietro alla curva non c’è la lanterna del porto ma arriviamo insieme a Cesenatico.

All’osteria vicino a Faenza c’è un tipo strano che si lancia sul pubblico in delirio, è un po’ barbone e un po’ Dioniso, è una lucertola e un poeta, a torso nudo e pantaloni di pelle, ingoia un acido affogandolo nel J&B.

Andiamo Jim, monta su, che Comacchio non è New York, ma le zanzare sono più cattive, non andremo a suonare al Madison ma da qui a Imola un paio di pezzi ce li cantiamo. Bevi finchè ne hai voglia che non ci sono poliziotti agli incroci. Anche perchè in Italia ormai sono tutti rondò.

Arriva un uomo in fondo alla pianura che sembra un mago con le scarpe a tennis, ha un cilindro e una maglia a righe, una chitarra in miniatura e una sciarpa rossa a nascondere l’anima.

Parla di Gianna e racconta di Aida, sogna nel blu profondo del suo cielo, fa nomi e cognomi e canta in sette ottavi.

Non smettere Rino, resta ancora un po’ che Forlì è vicina e ti offro un caffè, ma lui si volta, alza il braccio e mi saluta, lo guardo andar via senza voltarsi. Come uno che se ne va senza rimpianti.

E al casello di Cesena Nord la stradale mi ha fermato. Fanno il giro dell’auto, guardano l’abitacolo, guardano dappertutto e poi si guardano loro, “ma…è strano, sembravate in cinque dentro la vettura, un minuto fa”… “ci sono solo io, con tutti i miei cd, ma prego, potete controllare”.