La bottega delle occasioni perdute.

Immagine presa da internet (come sempre)
Immagine presa da internet (come sempre)

Come alcuni di voi sapranno, sono reduce da due settimane di corso di formazione aziendale. Detto così potrebbe sembrare una cosa di una noia mortale, forse a tratti è vero. Ma alcuni argomenti che i formatori si sono prodigati ad inculcarci forzatamente mi hanno colpito.

Uno su tutti è il concetto di “zona di comfort”. La zona in cui ognuno di noi si sente fuori pericolo, dove il nostro istinto si sente al sicuro. Al suo interno non ci sono insidie, niente trucchi, musica giusta, sfumature giuste e soprattutto…ci fai entrare solo chi vuoi tu.
Un paradiso costruito su misura. Già…e rimanerne intrappolato è un attimo.

Perchè essere sotto l’effetto della morfina è piacevole, ma crea dipendenza.
E allora tendiamo a stare il più a lungo possibile nella nostra gabbia dorata,
E magari tendiamo a farci entrare sempre meno persone, e quando escono ci sentiamo sollevati. È la nostra coperta di Linus, la nostra zona consacrata, il nostro “fido, rinforzi” di Risiko.

Lì dentro siamo inattaccabili, invincibili, condottieri indiscussi del nostro tempo. Sarebbe da folli uscire allo scoperto, mettersi in discussione, confrontarsi e magari uscirne pure sconfitti. Si, da scellerati proprio.
E allora a volte ci capita di sprofondarci dentro, di cadere in una specie di depressione mentale dalla quale non abbiamo voglia di uscire. Non ce ne frega niente se fuori c’è “tutto un mondo da scoprire”, noi stiamo bene nel nostro mondo, nella nostra “zona rossa”. E senza rendercene conto rimaniamo lì, magari a scaldare i motori, senza riuscire ad alzarsi in volo, come lucciole dentro un bicchiere, come promesse mai mantenute.

I nostri rituali possono diventare la nostra condanna. Percorrere sempre le stesse strade, sedersi sempre sulla stessa poltroncina, guardare sempre lo stesso cielo. In questi giorni mi sono reso conto che se magari prendo il coraggio a due mani e sposto la mia reflex, la foto potrebbe essere migliore, o magari no, ma se non provo non lo saprò mai. Ho provato un paio di volte a mettere il naso al di là del mio cerchio rosso, e sapete…non è poi così male come pensavo, certo, le tigri pronte a sbranarti ci sono, ma poi impari ad evitarle. Come diceva William Shed “Le barche nel porto sono al sicuro, ma non per questo sono state costruite”. Capisci che forse la tua zona di comfort potrebbe espandersi un pò, magari potrebbe pure incontrare quella di qualcun altro, della tipa seduta al tavolo a fianco a te, per esempio. Potresti alzare lo sguardo, un passo oltre, potresti abbozzare un sorriso, un passo oltre, potresti dirle ciao e capire che sei lontano mille miglia dalla tua zona di comfort, ma non te ne frega niente, perchè lei ti ha risposto e non hai bisogno di chiedere i rinforzi come a Risiko. (Liberamente ispirato ad uno scambio di commenti con Vetrocolato)

Inutile fare gli ipocriti, non è facile stare la fuori, e sicuramente avere la nostra free zone è indispensabile, ma sarebbe un peccato rendersi conto un giorno che la nostra bottega delle occasioni perdute è colma all’inverosimile, perchè è frustrante vivere di rimpianti, avere sul tavolo un cumulo enorme di “se avessi” imprigiona lo sguardo e ci impedisce di vedere oltre. Sbriciamo oltre il confine, al di là del muro non ci sono solo avversari, ma anche un numero infinito di compagni di viaggio. Come ho già detto in altri post, siamo tutti animali sociali, creati per stare insieme a qualcuno, per contaminare i nostri confini.

Diamo pure a qualcuno quelle dannate chiavi per entrare nella nostra zona quando vuole. Perchè magari non ce ne siamo resi conto, qualcun altro lo ha fatto con noi.

E allora alziamo lo sguardo e abbozziamo un sorriso, che forse la ragazza del tavolo accanto non aspetta che questo.

“I nostri dubbi sono dei traditori che ci fanno spesso perdere quei beni che pur potremmo ottenere, soltanto perchè non abbiamo il coraggio di tentare.” William Shakespeare.

Una passeggiata nella zona rossa.

zona rossa

Allora, ho deciso di raccogliere la sfida che mi ha lanciato la mia amica Vetrocolato nel suo commento sul mio ultimo post, quello dei bravi ragazzi e degli stronzi. Perciò, cara Vetro, presta attenzione, perchè dubito che la cosa si ripeterà.

Innanzi tutto, giusto per mettere le mani avanti, sono consapevole che questo pezzo non sarà facile per me, di solito parlo in seconda, terza, quarta, milionesima persona, è una forma di distacco, ma soprattutto di protezione (o di vigliaccheria, fate un pò voi) e i pochi articoli che parlano di me trattano solo argomenti “scazzoni”, si, perché non è facile  mettermi a nudo, e la prova costume è lì a dimostrarlo, essere in gioco completamente. Però mi piacciono le sfide, provare ogni tanto a mettere un piede oltre il confine, nella zona rossa.
Si lo so, devo piantarla con questa paraventata e andare al sodo, ma era un modo subdolo per prendere tempo, però oh, mica è facile aprire quella porta, che oltretutto assomiglia moltissimo a quella de “il sesto senso”.

Lo ammetto, a costo di passare per immodesto, la prima impressione che le persone hanno di me è quella del classico “bravo ragazzo”. Detta così può sembrare una fortuna, e forse in certi casi lo è, mi aiuta sicuramente nel lavoro ad esempio, in molti altri casi credetemi, è una condanna. Si, perchè la gente si aspetta sempre che faccia cose positive, che sia senza macchia, che sia migliore. Bè, notiziona: non sono così. Mi sforzo di esserlo per non deluderli, ma di solito fallisco malamente, e dovreste vedere le facce che fanno quando scoprono la verità. Non se ne fanno una ragione, difficilmente riescono ad accettare il fatto di aver preso una cantonata. I più si allontanano.
Si perchè è molto più semplice legarsi all’idea che ci siamo fatti di qualcuno piuttosto che prendersi la briga di conoscerlo veramente, e lo capisco. Il rischio di scoprire cose che non ci piacciono è altissimo e soprattutto, molto probabile.

Durante uno di quegli inutili corsi di formazione fu detta da un relatore pagato fior di quattrini per farti sentire un inetto, fu detta dicevo, una frase che mi colpì particolarmente: nei primi trenta secondi si forma nella testa della persona che sta di fronte a te  un’idea sul tuo modo di essere, ci vogliono minimo tre anni perchè questa idea possa cambiare.
Voi però siete fortunati, con questo post vi accorcerò i tempi di gran lunga. Andrò a rimestare nel torbido, mi sporcherò le mani e porterò alla luce un po’ di scheletri guardandoli per una volta dritto nelle orbite, e, forse, mandarli definitivamente a fanculo.

E allora fanculo a tutte le volte che non mi sono ribellato a mio padre, perchè io non sono come lui, cazzo, no, io sono io e basta, a tutte le volte che non ho saputo resistere alle tentazioni, sentendomi una merda per il dolore causato alle persone che mi stavano vicino, fanculo a tutte le volte che non ho interrotto il percorso di una canna e l’ho fatta girare, fanculo a quando ho tradito la musica per seguire una qualche utopia, che di solito indossava un paio di calze a rete, per tutte le volte che ho lucidato un sogno senza avere le palle di crederci fino in fondo. , a tutte le volte in cui ho scelto la via più facile, alle volte in cui ho mentito per pararmi il culo, a tutte le volte in cui ho lasciato che decidessero per me.  Fanculo a tutte le maledette volte che mi guardo allo specchio e non riesco a sostenere lo sguardo

La verità è che non riesco a tirarmi via dalla periferia in cui sto, e non sto parlando in senso geografico, è la periferia delle emozioni, dei progetti irrisolti, di coloro che scaldano i motori ma rimangono fermi dentro l’hangar, per quelli come me che ogni giorno è quello buono e invece invecchiano con i rinvii, che hanno un ruvido bisogno di far parte di qualcosa, che sperano di riuscire a sciogliere quei nodi che fanno un male dell’anima, che vivono in apnea sul trampolino senza tuffarsi mai, che portano dentro di loro dolce curaro e amaro miele, nella speranza di durare oltre quest’attimo.

Questo è il mio lato buio, il mio lavoro nero, è un po’ il mio male di me.

Bene, Vetro, ho fatto del mio meglio, pero ora è il massimo che riesco a dare parlando di me, non lo so se ho vinto la mia sfida, ci ho provato, e questo è già qualcosa.