Anche i vicini…nel loro piccolo si incazzano

20130609-095032.jpg.
Ci scegliamo gli amici, selezioniamo i parenti fanculizzandoli estromettendoli da tutte le nostre vicende domestiche, ma esiste un’elite di persone che ci accompagneranno per un lunghissimo periodo della nostra presenza su questo pianeta, no, non mi riferisco agli ufficiali giudiziari, quelli ci seguiranno anche dopo la nostra dipartita, sono i vicini.

Quindi, se il tuo ultimo domicilio conosciuto non è Villa Certosa e non hai un nome improponibile tipo Nathan Falco, dovrai quotidianamente confrontarti con la gentile signora Iole, che avrà cura di far cacare il suo cagnolino sul tuo pianerottolo.

Qui si verifica un evento oscuro da decifrare come il concetto di noumeno nel pensiero filosofico di Kant, il fenomeno prevede che il minuscolo canide, difficile da vedere ad occhio nudo, riesca a concimare il tuo zerbino come se ci fossero passati tutti insieme gli elefanti di Moira Orfei.

Altri aneddoti coloriti, da raccontare ai nipoti davanti un focolare nelle fredde serate novembrine, si manifestano quando, dopo un tempo smisurato decidi di aprire uno spiraglio nella finestra di camera, solo il tempo necessario da poter permettere a quel sottilissimo filo di ossigeno di garantirti la sopravvivenza per i prossimi quindici minuti.
In quel preciso istante, la comare del piano di sopra si prodiga nello shakerare la tovaglia del veglione di capodanno, così, in pochi istanti ti troverai il copriletto tempestato di briciole bellissime come i diamanti su una riviera Cartier e tutti i piccioni di Piazza San Marco si radunano sul tuo davanzale con il piattino per le offerte.
Contemporaneamente il suo canuto consorte prenderà la sua collezione di mutande non pre-lavate e aprirà uno stand dal suo balcone, se avrai avuto l’accortezza di posizionare sotto un recipiente vuoto, il giorno del vostro anniversario farai un figurone con tua moglie regalandole una peLi-ccia a collo alto di volpi bianche dal manto riccioluto.

Se poi vuoi provare l’ebbrezza di essere la controfigura di Tom Cruise, puoi avventurarti nella tua mission impossible decidendo di parcheggiare nel tuo posto auto.
Lì capirai che il mercato dell’auto non è assolutamente in crisi e il tuo dirempettaio ne è un fulgido esempio, non sai di preciso quanto vetture siano di sua proprietà, sai soltanto che Marchionne da 5 anni gli manda il cesto di Natale.
Occupa tutti i parcheggi disponibili da Viale Marconi a Piazza della Chiesa, compreso il posto del sacrestano, poi passi davanti al suo garage, grande come la piazza rossa di Mosca, centimetro più centimetro meno e lo trovi aperto e costantemente….vuoto.
La tua unica valvola di sfogo, oltre a quella di nominare tutti i vari protettori da Sant’Abate a Santa Zita, sarà di prendere il chewingum che stai masticando da 5 ore e di imboscarlo dietro la maniglia della portiera della sua ultima fuoriserie.

Aspetti fiducioso il giorno in cui suoneranno alla porta e sua moglie ti implorerà di prestarle il sale, lì, nascosto dentro la credenza, darai fondo a tutta la tua salivazione e ti presenterai da lei col barattolo in mano fiero e baldanzoso come Lapo Elkann di ritorno da Amsterdam.

Non muova la testa e dica cheese.

Immagine

Allora, stavolta il compito è arduo: affrontare un argomento di particolare interesse….femminile.

 

Sto già sudando.

 

L’artigiano dei capelli…uff…l’ho detto.

 

Innanzi tutto la prima differenza sostanziale rispetto a noi uomini è l’appellativo col quale si identifica questa figura professionale. Per noi, fin dalla notte dei tempi, è il barbiere. Al massimo viene sostituito con una frase descrittiva del tipo “vado a farmi i capelli”, ma mai, da quando il genere umano ha avuto il dono della memoria, c’è prova concreta che un maschio (nel senso più ampio del termine) abbia osato pronunciare la parola “parrucchiere”. È un termine per noi inconcepibile, come per Maroni chiamare “italiano” uno di Rossano Calabro.

 

Ma si sa, siamo nel terzo millennio e gli orizzonti si ampliano, così è sempre più frequente incontrare tracce di testosterone nei laboratori di coloro che tagliano i capelli alle donne (oh…non mi viene), cioè spesso accompagniamo mamme, sorelle, fidanzate, badanti al restailing pilifero e approfittiamo spudoratamente dell’occasione per farsi dare la classica “spuntatina”.

La questione è puramente economica.

Ci viene naturale illudersi che, dato che probabilmente la nostra accompagnatrice elargirà una cifra pari agli interessi bancari di un mutuo trentennale al professionista della messa in piega, quest’ultimo avrà pietà di noi maschietti tagliandoci i capelli a costo zero. Niente di più sbagliato.

 

Personalmente ho passato da un pezzo il periodo delle illusioni e da quando un mio amico ha aperto l’attività, ho affidato a lui, l’arduo compito di rendere presentabile la mia capigliatura. Ovviamente è un coiffeur (sto facendo progressi) per signora.

 

Ecco, quando vado da lui vivo pressappoco queste emozioni.

 

Già prima di entrare dò uno sguardo dal vetro per quantificare il numero di persone presenti, giusto per far lievitare il senso di inadeguatezza che proverò una volta varcata la soglia d’ingresso. Ok, respirone, petto in fuori e via!

È ovvio che dovrò sedermi sul divanetto ad attendere il mio turno, spesso mi fanno aspettare anche se non c’è nessuno, così, tanto per farmi sentire un coglione.

Vabbè, ormai sono lì, vorrei essere a spalare la neve in bermuda e canottiera, ma sono lì. Mi godo la comodità del divano di pelle, senza spalliera (ma le donne non si appoggiano mai? Stanno sempre impettite? mah !) sfoglio appassionatamente l’ultimo numero di Donna Moderna, con lo stesso entusiasmo col quale toglierei le spine dal piede dopo aver pestato un riccio di mare e prego che tutto finisca il prima possibile.

Ok, è il mio turno! Esultiamo!

 

La signorina vestita da hostess della Lauda Air mi fa accomodare al lavatesta, io l’ho sempre chiamato lavandino, ma evito discussioni.

Mi siedo, mi stendo e incastro la testa in una ghigliottina modello Luigi XVI, la hostess mi da un comando secco e deciso “Mi raccomando non si muova”, dopo un millisecondo penso…”cazzo ora mi prude il naso”. Resisto stoico, sono comodo come se fossi sdraiato su un letto di chiodi, inizio a sudare e infatti sento una goccia scendere lungo la schiena, poi un’altra e un’altra ancora, dopo cinque minuti decido di infrangere il regolamento e da anarchico sovversivo alzo una mano per attirare l’attenzione della signorina, che nel frattempo si è allontanata lasciando l’acqua aperta con il getto che punta deciso al mio collo. Bagnato come Noè durante il diluvio emetto un suono gutturale, il livello dell’acqua nei miei pantaloni ha raggiunto proporzioni preoccupanti e, visto che ho pranzato mezz’ora fa, il rischio congestione è concreto.

 

Finalmente un mezzo della capitaneria di porto arriva in mio soccorso e mi riporta a riva.

 

Adesso viene il momento peggiore di tutta la cerimonia. Ormai conosco la liturgia e so che tutto quello che ho subito finora in confronto era zucchero filato. Il mio caro amico tagliacapelli si avvicina a me, sapendo benissimo cosa io stia provando, annuisce con la testa e fingendo compassione, come mia mamma quando da bambino mi metteva la supposta dicendomi “è per il tuo bene”, compie un gesto che corrisponde alla mia totale evirazione: mi avvolge sulla testa l’asciugamano bianco.

 

Non contento, mi fa fare tutta la sfilata sul corridoio facendomi sedere sull’ultima poltroncina accanto al vetro che dà sulla strada. Mi sento come se stessi parlando all’assemblea degli azionisti di Confindustria vestito come Platinette.

E poi…ma ci saranno state quattordici sedie vuote, perchè mi devi far sedere proprio in vetrina? Questa si chiama cattiveria.

Mi tiene lì altri quindici minuti, tanto per girare il coltello nella piaga, io vorrei letterarmente scomparire e infatti piano piano sto scivolando col sedere verso il basso cercando di nascondermi dietro la spalliera. Finalmente si decide, si avvicina e gira la sedia ruotante in modo da mettermi con lo sguardo rivolto verso la strada. In quel momento mi rendo conto che una comitiva di giapponesi sta immortalando la scena, un paio di loro sono sdraiati in terra in preda a convulsioni. Decido che non andrò mai più a mangiare il sushi e che, se incosciamente i giapponesi mi stavano sui coglioni un motivo ci doveva pur essere.

Inizia a tagliare e parla, mi spazzola e parla, poi accende il phon e continua a parlare ma il rumore copre tutto. Ecco, quello è il mio momento di riscatto.

Inizio ad insultarlo a ripetizione, lo mando a fanculo mentre sfoggio un sorriso smagliante e gli offendo tutti i parenti fino al terzo grado finchè non spegne l’asciugacapelli e tornano a diffondersi le note di radio pulce in sottofondo.

 

Rimpiango un pò i tempi in cui da bambino mio padre mi portava a tagliare i capelli da Lido, era spettacolare, lui tagliava mentre guardava la televisione, i clienti uscivano soddisfatti, perfettamente pettinati e qualche volta…con un orecchio in meno…ma si dai…stai a guardare il capello

Se telefonando riuscissi a dirti addio…ti chiamerei

.

Ho deciso. Da grande vorrei fare il garante della privacy.

Ovvero: decidere di occuparsi dei cazzi di tutti e farlo diventare un mestiere.

 

Mi piacerebbe capire gli oscuri meccanismi che regolano questo strano universo, come ad esempio se un comune animale mitologico con il corpo di uomo e la testa di cazzo ti taglia la strada ad un incrocio e tu, in preda ad uno slancio di aria natalizia non gli fai mancare un perentorio “figlio di mignotta”, rischi di essere denunciato dalla madre per aver svelato il mestiere che lei svolge con ammirevole dedizione da un tempo smisurato.

Per lo stesso motivo ci è fatto divieto durante partite di cartello tipo Chiusdino Vs Serrazzano, a causa di un arbitraggio scandaloso, inveire contro l’inetto direttore di gara sentenziando “bravo, ti si vedrà in televisione, a parà le pe’ore durante l’intervallo”, sarai sanzionato con l’infamante accusa di aver reso di pubblico dominio la futura esatta posizione del novello Paparesta.

 

Ma tutte queste incontrovertibili regole crollano miseramente alle 20:35 quando sei seduto a tavola, stanco come un coglione, con uno stato d’animo che in confronto il mostro di Milwaukee sembra il fanciullino di Pascoli, pronto a consumare la tua cena frugale a base di trippa e fagioli, quando un fastidioso cicalino interrompe questa celestiale atmosfera da Bambi sotto l’arcobaleno.

Squilla il telefono.

E tu dal suono prepotente già sai che sarà una rottura di palle. I tuoi timori si fanno certezze quando alzi la cornetta e il call center ti aspetta.

In quel momento comprendi anche il livello di globalizzazione raggiunto dalle varie compagnie telefoniche, infatti ti ritrovi a parlare con una signorina dell’Europa dell’est, sfuggita alla cortina di ferro e ora trovato asilo presso una sedia girevole dietro Cortina D’Ampezzo. La suddetta centralinista parla pochissimo italiano, quindi ti spiegherà tutti i dettagli principali e altamente vincolanti del tuo nuovo contratto, in lingua madre, giusto per non rischiare di commettere errori.

Ogni 5 minuti userà un vasellinante “gentile signore” per sottolineare che comunque, la tua lingua la conosce perfettamente.

 

Alla fine della conversazione, avrai sottoscritto (anzi, sottodetto, comunque hai preso qualcosa sotto), uno scintillante contratto della durata di 75 anni da 128 euro al mese con 8 scatti alla risposta e la possibilità di chiamare gratis un numero rumeno a tua scelta, il cane avrà mangiato la tua trippa e a te non rimane che riempirti lo stomaco con i fagioli, ormai semi congelati, per la gioia di tua moglie che potrà vantarsi con le amiche del Rotary Club di avere un marito ano-lessico (cioè che parla col…).

Il mondo ai tempi dell’iphone

Non ce l’hai?, ma come?. ma ce l’hanno tutti…
Oggi se non hai Iphone sembri uno che va a giocare a rugby con le infradito, sei fuori dai giochi, additato come preistorico, non saprai mai il significato di termini tipo Whatsapp o viber, tiri fuori il tuo cellulare da 30 euro ed è come se in tasca avessi il telefono grigio a ruota della Sip, non condividi le foto non sei aggiornato sullo status sentimentale del tuo idraulico niente di niente, puoi solo chiamare e, se al massimo hai il modello paleolitico plus, mandare un messaggio di 5 caratteri.

Sei al supermercato, senti un segnale acustico e noti 47 persone che mettono la mano in tasca facendoti sentire come attore non protagonista di Gangster of New York e temi profondamente che che una chiamata vagante possa colpirti alla schiena. Solo dopo circa 25 minuti tutti i presenti realizzano che il jungle che si era udito era solo l’antitaccheggio.

Ma come facevamo 2 anni fa senza quest’arma di distruzione di massa…cerebrale, era una vita grigia e soprattutto silenziosa, ora suona, suona se ti arriva una mail, suona se la farfalla di Belen prende il raffreddore, suona se l’emiro del Kwait passa col rosso.
Poi incontri tua madre per strada e ti dice “ma che succede?, è 3 giorni che ti chiamo e non rispondi” e tu a le “si l’ho visto ma ero in chat con il maggiordomo di Obama che mi consigliava come sbloccare la coltivazione delle piante del cotone su Farmville”

Insomma, un tempo ormai lontano se non volevi rotture di scatole bastava spengnerlo, ora ti trovano anche se vai su Alfa Centauri.

Secondo me la soluzione ideale è…caxxo ve lo dico dopo mi è arrivata la notifica del compleanno dell’elfo maggiore di Babbo Natale, corro immediatamente a fargli gli auguri.