Ingredienti sparsi.

Sembra scientificamente provato che ogni sette anni il nostro corpo si rigenera completamente, ogni singola cellula sparisce per lasciare posto a una nuova.


Voglio dire, svaniscono le cellule ma noi, rimaniamo “noi”, se ci pensi c’è da perderci la ragione. E’ come se fossimo fatti di qualcos’altro, come se ciò che ci portiamo dentro sopravvivesse agli atomi e al ciclo naturale della vita. E’ come se una parte di noi fosse fatta di qualcos’altro. Già, e allora mi sono messo lì a pensare, che ultimamente non mi capita spesso di farlo, pensare, intendo, mi sono messo lì a cercare di capire di cosa sono fatto, cercando di trovare la composizione molecolare che è resistita a tutti questi anni e ha continuato ad essere me.


Sono fatto della Lambretta di mio padre, che ogni tanto prendevo di nascosto anche se non la sapevo guidare.


Sono fatto degli abbracci di madre, non troppi a dire il vero, ma dati sempre nel momento più giusto.


Sono fatto di sabbia, acqua, salmastro, libeccio, sole, burrasche e qualche tormento. In una parola, sono fatto di mare.


Sono fatto delle sere passate in macchina con due amici, ascoltando i Nirvana dicendoci che era ancora tutto possibile.


Sono fatto di una settimana passata a fare l’artista di strada a Copenaghen, con la mia Ibanez e una tastiera con dietro un compagno di sventura.


Sono fatto di un paio di piazze, che urlavano giustizia, e io là in mezzo, con una maglietta, senza capire bene cosa stessimo facendo, ma ci piaceva molto farlo. Ci stavamo illudendo, saremmo stati traditi, ma allora non potevamo saperlo.


Sono fatto di lettere, ma proprio tante, che non ho mai avuto il coraggio di spedire, ma va bene così, rinunciare a qualcosa ci rende più consapevoli. O più ingenui, chissà.


Sono fatto di Marco Tardelli e degli occhi commossi di mio padre, perché sì ok, il 2006, ma nell’82…


Sono fatto di lei, arrivata improvvisa e rimasta con me. Non è sempre facile ma continuiamo a sceglierci ogni giorno. Ogni tanto allungo la mano e lei c’è. Questo è quello che so dell’amore.


Sono fatto di Marco, Simone, Cristiano, Samuele, sono fatto di Federico, di Mirko, di Carlo, di Roberta, di Claudia, di Gemma e di pochi altri che mi hanno lasciato qualcosa di loro. Che non mi lascerò sfuggire.


Sono fatto di treni, di tutti quei treni che guardavo partire e arrivare e sono fatto di volti, di tutti quei volti che si incontravano o si lasciavano allontanare.


Sono fatto di chilometri e di tutte le aurore che continuo a fotografare, ma anche di tutti i tramonti su strade veloci mentre sto riportando tutto a casa.


Sono fatto di accordi e di tutti i concerti, di casse e rullanti, di muri scavalcati senza biglietto. Sono fatto di viaggi improvvisati a Pavana per bere qualcosa con Francesco Guccini.


Sono fatto di Camilla, la mia Cinquecento avuta in regalo, fuori tempo, fuori moda, caricata all’impossibile. E di tutte le doppiette venute male che terza marcia non c’era più.


Sono fatto di cicatrici, cicatrici vere eh, ginocchio, caviglia, occhio, naso, parti di me andate in frantumi che qualcuno ha rattoppato. Che se raccoglievo tutti quei punti di sutura un tostapane lo avrei preso di sicuro.


Sono fatto dei libri che ho letto e delle frasi che ho rubato per stupire, delle persone che ho conosciuto e dei luoghi in cui sono stato, senza mai andarci veramente.


Sono fatto di giorni sprecati, una serie lunghissima di giorni sprecati. E di cose non fatte, di parole non dette, di tutti quei momenti messi lì a prendere polvere e basta.


Sono fatto di lei, di lei che è fatta un po’ di me, che ha i miei occhi ma uno sguardo tutto suo, che ha cambiato la mia prospettiva e che, senza il minimo sforzo, ogni giorno mi rende migliore. Come solo i gesti inspiegabili riescono a fare.


Forse sono queste le particelle di me che sopravvivono al naturale corso della vita, qualcosa che faccio fatica a comprendere ma che, nel bene o nel male, porterò per sempre con me.

Filastrocca di un piccolo eroe di provincia. Dove tutto finisce o forse comincia.

La mia sveglia che suona alle sei di mattina,

svaniscono i sogni la realtà si avvicina,

mi muovo nel buio con passo felpato

se faccio un rumore sarò lapidato,

cammino a tastoni scendendo la scala

ma la porta ha uno spigolo e la mamma maiala,

il gomito sbatte e un urlo trattengo

ma ripasso il rosario come un camerlengo.

Salgo in auto  con gli occhi ancora impastati

Sono cento i chilometri che attendono ingrati,

giro la chiave intontito e accendo la radio,

nella testa ho un ultrà con la tromba da stadio.

C’è un’ora di strada, inizia il viaggio

Probabilmente ho una taglia per vagabondaggio,

son quattro anni che lavoro lontano da casa

forse è così che si sentono gli astronauti alla Nasa.

Alla radio notizie di politica interna,

i discorsi alla cazzo di chi ci governa,

poi Giusy Ferreri, Irama e Calcutta

se una canzone è di merda la trasmettono tutta,

sotto al sedile di chi a volte viaggia con me

si nascondono penne, ricordi e forse un bidet.

Mentre seguo la strada senza cambiare corsia,

ripenso agli amici che sono andati via.

Mi rivedo a vent’anni insieme a Samuele,

volato a Milano con il suo ukulule,

sognava un futuro come un capogiro

a fare il cantante e riempire San Siro,

sugli accordi volava come un moderno Uomo Ragno,

ma si è arrugginito come uno scaldabagno,

è finito a Segrate a fare il precario,

e sui sogni di un tempo è calato il sipario,

col costume di Spiderman ci ha fatto un falò

si è scordato le note del giro di Sol.

Il più bello di tutti di quell’era maldestra

era Dario il forzuto che viveva in palestra,

di tutta la banda era il capotribù

vestiva sempre di verde come un moderno Hulk,

mostrava i bicipiti con espressioni feroci,

e con le chiappe del culo ci schiacciava le noci.

In un giorno di pioggia è partito per Roma,

a far la guardia del corpo di una showgirl in perizoma,

e in una sera bastarda di cocaina e splendore

per difendere una escort ha picchiato un assessore.

E’ stato in galera come un criminale

Poi Si è fatto 6 anni con la condizionale.

I suoi abiti verdi son finiti in soffitta,

ora aggiusta le auto e lo chiamano Er Marmitta.

Abbiamo imparato una cosa in questi anni

i supereroi in provincia fanno solo dei danni

se ci date i poteri ci facciamo del male,

è come dar le infradito a Babbo Natale,

forse il nostro è soltanto un cammino fatale

condannati per sempre a una vita normale.

Perché a noi il successo fa spavento e disarma

Forse a noi il destino ci ha cagato nel karma.

Torno a casa ogni giorno senza gesti eclatanti

Non ho salvato il pianeta da alieni inquietanti,

ma mentre salgo le scale sono sorridente

a mia moglie e a mia figlia vado bene ugualmente,

e mi vedo a ottant’anni senza un superpotere

io sarò solo un vecchio. E loro il mio cantiere.

Mi convinco ogni tanto che ci vuole coraggio,

Ad affrontare ogni giorno sempre all’arrembaggio

E aggirare i problemi come se fossero boe.

Forse anch’io. nel mio piccolo, sono un supereroe.

La piadina degli addii.

addii

Ogni tanto succede che debba salutare qualcuno, talvolta per scelta mia, altre volte per scelta altrui.

Confesso, che fra le due ipotesi preferisco la seconda, si, è sicuramente meno impegnativa, magari ugualmente dolorosa, ma sapere che l’artefice di tale distacco non sono io mi rincuora.
Può sembrare un concetto egoistico, e forse lo è, però essere dalla parte di colui che subisce mi fa sentire meno responsabile, è un pò come dire “prendo atto della tua decisione, accuso il colpo, ma non posso farci niente”.
È una condizione in cui mi è capitato di trovarmi, non posso fare altro che stringere l’altra persona in un abbraccio e augurarle buon viaggio della vita.

Ma dover essere io a prendere questa decione, bhe, lì è un’altra storia.
Partiamo da un principio: odio gli addii. Siano essi amichevoli o burrascosi. Non trovo mai le parole giuste, balbetto, distolgo lo sguardo, cerco di stemperare la sacralità del momento con qualche battuta idiota. Le parole mi muoiono in gola soffocate da quel maledetto nodo che non ne vuol sapere di sciogliersi.

Ieri è successo. Solo che invece di salutare una singola persona, ho saluto un gruppo. E ammetto che nonostante mi fossi preparato all’evento in modo scrupoloso, cercando di studiare gesti ed espressioni, ecco, nonostante tutto questo…è andata malissimo.
Passare una giornata insieme a loro, scherzare davanti ad una piadina e parlare di progetti futuri con la consapevolezza che non saranno comuni, è stato quasi surreale.

Ci sono addii inconsapevoli, non mi riferisco alla perdita di una persona cara, ma a quelli che a pensarci dopo ti sembra strano essersi perduti così, chi l’avrebbe detto che quella sarebbe stata l’ultima volta che vi vedevate, a saperlo avresti fatto cose diverse, detto parole più prfonde e invece così non è stato e un po’ ti rode che quella persona possa portarsi dietro un ricordo di te così leggero. A pensarci bene, sono i migliori nessuno dei due lo sapeva e non c’è stato bisogno di dire altro.

Poi però ci sono gli addii concordati e quelli sono davvero tosti. C’è chi si prodiga in strette di mano, per trattenersi ancora, chi lascia un saluto veloce e se ne va senza voltarsi indietro, che se lo facesse non partirebbe più, chi si allontana con il viso voltato verso quelle facce, per imprimersi a fuoco nella mente quegli sguardi, chi tira su una valigia di speranze saltando in corsa sopra un treno.

E allora lo ribadisco: odio gli addii. Non credo alle promesse di un nuovo incontro, al giuramento solenne di conversare al telefono, dei “se passi da queste parti vieni a trovarci”. Frasi dette per alleviare il peso del distacco.

Io di solito ringrazio, lo faccio veramente con il cuore, perchè mi sento in debito, anche se loro soridono, anche se loro mi guardano e non capiscono, ringrazio perchè ho già la pena di star lontano, ringrazio per non dire “mi mancherai”. Ringrazio perchè abbiamo mischiato un po’ le nostre vite e, che lo vogliamo o no, non siamo più quelli di prima. Tutte le persone che abbiamo incontrato sono la risposta quando ci chiederemo se siamo esistiti per davvero.

E allora non mi rimane che mettere un sorriso preso a nolo e trovare la forza di dirlo, una volta per tutte: fai buon viaggio della vita.

Ogni stagione è legata all’altra, incontri e addii formano il cerchio, il sacro centro è la nostra armatura, dove tutto cambia, tutto è eguale. ”
Marion Zimmer Bradley, L’alba di Avalon.

P.S. Dedicato ad un gruppo di persone straordinarie con le quali ho trascorso due anni vissuti a pieni giri. Ragazzi…keep calm and tenete botta.

Se non ti conosco ti svelo un segreto.

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Stamani ho letto una notizia curiosa: una donna su quattro non sa mantenere un segreto.

Considerate che l’articolo continuava dicendo che in media ogni donna viene a conoscenza di tre segreti ogni sette giorni. In poche parole tutto il genere femminile sa i cavoli nostri.
Lo so, cari compagni di sventura maschili, credevamo di essere al sicuro e invece siamo sulla bocca di tutti, anzi…di tutte, che è pure peggio.

La realtà è che ognuno di noi ha bisogno di “raccontarsi”, abbiamo tutti un’urgenza spasmodica che qualcuno ci ascolti, che diventi un nostro confidente e che, possibilmente, ci dica ciò che noi ci vogliamo sentir dire.

Si, perchè quando abbiamo un segreto, che poi spesso è anche un problema da risolvere, diventiamo forse più ricettivi, ascoltiamo i consigli, ma allo stesso tempo molto siamo più selettivi, chi non la pensa come noi non è visto di buon occhio e mettiamo subito le mani avanti dicendo che non ha capito la situazione. E invece magari la “situazione” l’ha capita eccome, forse anche meglio di noi, perché riesce a vederla con occhio distaccato e soprattutto non ha coinvolgimenti, che nella maggior parte dei casi sono sempre sentimentali.

Tornando a bomba c’è da dire che la nostra smania di confidarci, in alcuni casi ci fa perdere la lucidità e spesso ci porta a mettere il nostro segreto nelle mani sbagliate. Ho notato che questa eventualità è più frequente fra donne.
Difficile spiegarne i motivi, forse l’amicizia fra donne raggiunge un livello di intimità maggiore, fra di loro si considerano sorelle, molto probabilmente anche i livelli affettivi sono diversi, oppure, più semplicemente, le donne si “risparmiano” meno, si raccontano proprio tutto tutto. E allora può succedere che una confidenza che per una di loro è particolarmente riservata possa essere scambiata per un normale segreto da poter condividere con le altre.
Si, lo so cosa state pensando care donne in lettura: alcune sono proprio stronze e lo fanno di proposito. Probabilmente, anzi sicuramente è vero, ma qui si entra in dinamiche che vanno al di la delle mie (limitate) capacità di comprensione. Scusatemi, ma proprio non riesco a spiegarmi come in un rapporto di amicizia si possa arrivare a essere così subdoli. Ok, scusate lo sfogo.

Per noi uomini è, ovviamente, diverso.
Forse lo spirito di cameratismo che alberga dentro di noi ci fa vivere la condivisione dei nostri segreti in una visione completamente diversa. Ci raccontiamo gli eventi in due o tre frasi, possibilmente non troppo lunghe altrimenti chi ascolta perde il filo, una cosa tipo “ieri sera ho conosciuto una tipa” – “splendido, c’è stata?” – “si” – “bene, con chi gioca la Juve domenica?”
Capito la dinamica? Uno spara il colpo, l’altro lo prende al volo e si passa oltre.
Scherzi a parte, non è sempre così, sui problemi davvero importanti ci appassioniamo eccome, ci scambiamo consigli, come voi, solo che i nostri consigli sono più stringati e leggermente più pratici.
La realtà è che noi uomini non ci confidiamo mai completamente, almeno non fra di noi. Raccontiamo il problema a grandi linee, ci riserviamo uno spazio d’azione tutto nostro. È più forte di noi.

Le cose cambiano leggermente quando esponiamo i nostri tormenti ad una donna. Di solito…non la nostra. Lì assumiamo un atteggiamento quasi prestabilito: partiamo cauti, lanciamo il primo sassolino e vediamo la reazione, se lei si appassiona proviamo a lanciarne uno più grande, fino ad arrivare al punto di finire tutti i sassi che abbiamo a disposizione e…vuotiamo il sacco. La cosa strana è che spesso ciò avviene con quelle donne che non fanno parte della nostra cerchia stretta delle cosiddette amicizie, le conosciamo, ma in modo marginale, magari abbiamo iniziato a parlare con loro tramite una chat, instauriamo un rapporto di confidenza tale da sentirsi “al sicuro”, non hanno rapporti con i nostri amici storici, non conoscono le dinamiche che regolano la nostra esistenza, ma sentiamo che possiamo fidarci e soprattutto abbiamo la certezza che non potranno tradirci e questo ci tranquillizza non poco. Concediamo loro di conoscere solo la parte di noi che ci interessa svelare, il resto non conta. Incredibilmente svisceriamo il problema in tutta la sua complessità e siamo estremamente onesti, non abbiamo timore di far uscire i nostri lati oscuri, perchè nella maggior parte dei casi non sono lì per giudicarci, ma semplicemente per leggere la nostra confessione, senza filtri.

Per nostra natura quando abbiamo la possibilità di mostrare le debolezze senza che nessuno ci guardi negli occhi le nostre confessioni sono più autentiche.

Quindi, chiunque voi siate, lasciateci raccontare, non giudicateci, entrate nel nostro confessionale e dateci la vostra opinione, approfittate dello schermo che ci separa per vedere la parte più onesta di noi. Fatene buon uso, non capita spesso.

“A volte è più facile confidarsi con un estraneo. Chissà perché. Forse perché un estraneo ci vede come siamo realmente, e non come vogliamo far credere di essere.”
Carlos Ruiz Zafón.>

Cari Billy e Mag, io la vedo così…

harry sally

Oggi vorrei affrontare un argomento vecchio come il mondo, e questo già vi fa capire il grado di originalità che mi pervade in questi giorni.

Ok, non ci girerò intorno e andrò dritto al punto. Puo’ esistere l’amicizia fra uomo e donna? si, lo so, potrei già chiudere qui questo post. ma sto diventando davvero cattivo e quindi proseguirò nei miei vaneggiamenti. Mi dispiace per voi.

La risposta più gettonata di solito è: no, non puo’ esistere, non c’è verso, prima o poi subentrano i sentimenti forti e l’amicizia si trasforma in qualcosa di diverso, spesso chiamato amore. Sembra un dogma, un concetto marchiato a fuoco, e i film e le serie tv non fanno altro che avvalorare questa affermazione. Billy Cristal e Mag Ryan in “Harry ti presento Sally” ne sono un esempio lampante.

Il mio punto di vista è, ovviamente, diverso, tanto per cambiare.
Credo che uomini e donne possano essere amici, grandi amici addirittura.

Ma non voglio fare l’ipocrita, è ovvio che ci siano differenze fra amicizie uomo-uomo e quelle uomo-donna. Il primo caso è indubbiamente più semplice, tra di noi spesso ci consideriamo i fratelli che non siamo mai stai o che non abbiamo mai avuto, possiamo parlare di donne, calcio, politica, ma anche di sentimenti. Solo che quest’ultimi sono esposti in modo diverso rispetto a come si farebbe parlando con una donna. Tra uomini affrontiamo le questioni sentimentali in termini molto più pratici, usando parole “da uomini” per l’appunto, perchè di solito ragioniamo su un livello emotivo identico e non abbiamo bisogno di preoccuparci troppo di urtare la sensibilità di chi ci ascolta. Alla fine quasi sempre, chiudiamo il discorso con una battuta maschilista a sfondo sessuale di fronte ad una birra media.

Con un’amica donna non può e non deve essere così. Qui è tutto diverso, è una questione di equilibri. E ognuno ha i suoi. I rischi, enormi, in questo rapporto sono due: quello di innamorarsi e quello di scoprirci a essere gelosi.
Quando il legame diviene particolarmente forte, c’è la possibilità, molto concreta peraltro, che si insinui in noi il dubbio di essersi invaghiti l’uno dell’altra. E qui iniziano i dolori.
Questa circostanza, non scontata ma probabile, nasce da convinzioni, spesso di natura culturale, secondo le quali quello fra uomo e donna è l’espressione massima di amore.
Permettetemi di dissentire. Non sono mai stato un amante delle classifiche in generale (tranne di quella di serie A degli ultimi tre anni…ma questo è un altro discorso), tantomeno in campo sentimentale. L’amore ha varie forme e trovo assurdo catalogarle all’interno di una scala gerarchica. La forza di un sentimento è data dalle persone che lo vivono, siano esse amanti, coniugi, amici, fino ad arrivare ai genitori e figli. Non ci sono amori di serie b.

Tornando all’amicizia uomo – donna, dicevo che la questione di fondo è riuscire a distinguere il tipo di rapporto che ci lega, pur forte che sia, non è detto che sia per forza amore.
Certo, capita spesso che due buoni amici, anche di lunga data, finiscano per stare insieme come coppia, e non c’è assolutamente niente di male in questo, però secondo me, esisteva già una forma latente di, chiamiamola, attrazione fisica, infatuazione, magari anche a livello inconscio o che più semplicemente  abbiamo cercato di non far uscire, di soffocare, con evidenti scarsi risultati.
Per la gelosia è un discorso diverso. Può manifestarci anche nell’amicizia fra uomini, magari perché uno dei due inizia una relazione di coppia e tralascia, anche involontariamente, il rapporto con l’amico. E allora ci possiamo sentire trascurati se non addirittura traditi.
Figuriamoci fra uomo e donna. Basta una parola pronunciata con un’inflessione diversa, più distaccata, oppure una faccina neutra all’interno di un messaggio altrettanto neutro per far scattare la paranoia seguita da enormi dubbi esistenziali.

Come dicevo all’inizio, è importate che ognuno trovi il giusto equilibrio. Imparare a dosare ben la frequenza degli incontri o dello scambio di messaggi.
Personalmente mi piace gestire le amicizie a “corrente alternata”, prendendomi delle pause, più o meno lunghe per poi concentrare magari in un pomeriggio gli scambi di opinione, prendendomi tutto il tempo necessario per ascoltare e raccontarmi. È il mio metodo per evitare di “correre rischi”. Tendo ad essere auto ironico, soprattutto per sentirmi meno attraente, anche se vi assicuro che non ce ne sarebbe bisogno.

Alcuni sostengono anche la teoria secondo la quale l’amicizia fra i due sessi puo esistere solo se uno dei due ha un aspetto fisico, diciamo, discutibile. Ecco, questa mi pare onestamente una cattiveria bella e buona. Qui si scade nella mancanza di rispetto ed è una delle cose che mi danno più fastidio in assoluto. E’ come dire che con le persone che non hanno un aspetto che a me piace posso sentirmi libero di frequentarle senza correre il rischio di rimanerne coinvolto. Già…e dell’altra persona ne vogliamo parlare?, dei sentimenti che puo’ provare o che comunque rischiamo di fargli provare. Si, più ci penso e più la cosa mi distruba (e mi fa anche un po’ schifo, se proprio devo dirla tutta).

Ognuno deve trovare il suo metodo per mantenere il giusto equilibrio, non ce n’è uno giusto o sbagliato, è importante capire fin dove vogliamo arrivare, conoscere le nostre linee di confine e, magari, anche quelle dell’altra persona.
E’ un po’ come giocare a golf: la direzione del vento, la scelta del ferro, la pendenza del terreno e la potenza del tiro, tutto deve essere calibrato. All’inizio non sarà facile, ma imparando a conoscersi tutto verrà più naturale.

Avere un’amicizia vera con una donna puo’ essere un’esperienza entusiasmante nella vita di un uomo. E’ una pallina che devi solo imparare a colpire.

“Ti rendi conto vero che non potremo mai essere amici.
Perché no?
Beh ecco… e guarda che non ci sto provando in nessunissimo modo. Uomini e donne non possono essere amici perché il sesso ci si mette sempre di mezzo.
No non è vero, io ho tantissimi amici maschi e il sesso non c’entra per niente.
Non è così.
Sì, invece.
No invece.
Si invece.
Tu credi sia così.
Stai dicendo che io ci vado a letto senza accorgermene?
No, sto dicendo che loro vogliono venire a letto con te.
Non è vero.
È vero.
Non è vero.
È vero.
E come lo sai?
Perché nessun uomo può essere amico di una donna che trova attraente, vuole sempre portarsela a letto.
Allora stai dicendo che un uomo riesce ad essere amico solo di una donna che non è attraente?
No, di norma vuole farsi anche quella.
Ma se lei non vuole venire a letto con te?
Non importa, perché il click del sesso è già scattato quindi l’amicizia è ormai compromessa e la storia finisce li.
Credo che non saremo amici allora.
Credo di no.
Ah è un peccato. Eri l’unica persona che conoscevo a New York.” (cit. dal film “Harry ti presento Sally”).

Tutti insieme senza invito.

Foto post social

Lo avete pagato il canone Rai?, io si, controvoglia, bestemmiando come un turco e all’ultimo minuto dell’ultimo giorno…ma alla fine l’ho fatto.

Il fastidio non era dovuto solo ad una questione economica, che comunque c’è ed è pesante, ma anche per una questione di “utilizzo”. Ho realizzato che potrei benissimo fare a meno della televisione. Ecco, detto in questi termini potrebbe suonare quasi come un pensiero edificante, in realtà non è proprio così. La realtà è che abbiamo a disposizione dei validi surrogati del televisore, anzi, questo elettrodomestico, in se per se, sta diventando un ripiego bello e buono. Il mondo per fortuna (o per disgrazia, ma personalmente propendo per la prima) si è evoluto e internet è stato la nitroglicerina di questa propulsione. Tutto ciò che desideriamo lo troviamo in rete: serie tv, partite di calcio, film, eventi ecc. Praticamente negli ultimi tempi uso la tv solo come strumento necessario per avvincenti sfide alla playstation.

La questione assume contorni leggermente più pesanti se pensiamo che con l’avvento della tecnologia non siamo più soli.

I nostri amici di facebook, i followers di twitter, i contatti di Instagram, Pinterest e via dicendo ci seguono ovunque. Vengono sempre con noi anche se usciamo a fare una passeggiata. Anche quando siamo con la nostra dolce metà. Anche se non hanno l’invito.

Siamo tutti un po’ dipendenti da tablet e smartphone, cambia però il livello di “intossicazione”. Tecnicamente sono strumenti catalogati come “droghe leggere”, ma la linea di visione con quelle “pesanti” è più sottile di quanto si possa credere. Rimanerne irremediabilmente affascinati è molto semplice. Di solito i più contagiati siamo noi uomini. Ci sono quelli che usano queste tecnologie in modo assiduo, ma entro certi limiti, sono quelli che hanno mantenuto il senso della misura e riescono ancora a preferire un sorriso vero da un “like” virtuale. Poi ci sono gli “smanettatori seriali compulsivi”, che controllano il telefono ogni tre secondi netti, rispondono ai post degli amici, twittano su qualsiasi argomento, dalle leggi che regolano l’universo alle emorroidi del cane Dudù.

Per cercare di farci uscire dal tunnel, le nostre compagne posso tentare un approccio soft. Ad esempio cercare di organizzare un programma insieme, un’uscita, una serata interessante, sforzarsi di trovare qualcosa di alternativo e stimolante. Si, anche quello che pensate voi potrebbe essere un’alternativa valida. Certo, concedeteci un po’ di metadone, chessò, lasciateci almeno di controllare la posta elettronica ogni trentacinque minuti. Secondo me una terapia d’urto particolarmente aggressiva non è consigliabile. Noi uomini con il telefonino in mano siamo come i bambini con i giocattoli, Se ci obbligate a farne a meno ogni vostra distrazione sarà sfruttata per dare una sbirciata fugace a quel mattoncino senza tasti, saremo distratti e con l’orecchio teso a captare qualunque suono che assomigli anche lontanamente ad una notifica. Anche il “din” del timer del microonde ci farà sobbalzare dalla sedia.
Ma voi donne avete il sacrosanto diritto di richiedere attenzioni, perciò incazzatevi pure, anzi, se proprio non riusciamo a distogliere lo sguardo dalla nostra bacheca facebook siete autorizzate a battere i pugni sul tavolo, strapparci il telefono di mano e saltarci addosso violentandoci. Ah, vi avviso, è inutile cercare di ingelosirci parlando bene dell’idraulico. Se la wi fi funziona non vi sentiremo neppure. Anche porre aut aut tipo: o ruzzle o io, non è consigliabile, specialmente se siamo nel bel mezzo della manche decisiva.

La cosa che vi chiedo, (e che vi chiede tutto il genere maschile) è quella di dare il buon esempio. Vale ancora il principio del bambino (quarantenne). Fate bene a sgridarci se stiamo sempre a giocare con i soldatini, ma voi evitate di pettinare la Barbie non appena avete un attimo di pausa. In altre parole: dimostratevi migliori di noi, rimandate lo scambio di messaggi con la vostra amica d’infanzia a quando saremo usciti di casa, insegnateci la grande arte di resistere alle tentazioni, che vi assicuro abbiamo un gran bisogno di impararla.

Quando siamo immersi in questo universo ovattato il tempo si dilata, così la pausa pranzo si protrae fino all’ora di cena, arriviamo a casa stravolti e con gli occhi iniettati di sangue, millantiamo problemi di lavoro in realtà ci girano le balle perchè a metà pomeriggio la batteria ci ha abbandonato e non avevamo il cavetto da collegare all’accendisigari dell’auto. Avete mai notato qualche macchina parcheggiata davanti ad una banca con il motore acceso?, ecco, non allarmatevi, non c’è nessuna rapina in corso, è semplicemente un povero disgraziato che sta ricaricando il telefonino. Con mezzo serbatoio ti assicuri il 20% di autonomia….mica male.

Secondo me varrebbe la pena di alzare gli occhi da uno schermo di quattro pollici, perché magari di fronte a noi c’è una femmina di quattro miliardi di pixel in carne e ossa e pure in hd che non aspetta altro di essere digitata. E forse capiremo che quello di twitter non è l’unico volatile con il quale poter interagire.

Ho visto Parigi ma ero sotto anestesia.

Ultimamente vedo più spesso la guardia medica di mia madre.
Sarà l’età che avanza, sarà che voglio fare il figo e non c’ho più il fisico (come disse la mamma di Einstein quando il bimbo andò via di casa), fatto sta che questa notte/mattina mi son ritrovato nell’ormai familiare ambulatorio.

Mi sono svegliato nel cuore della notte con un mal di denti da prendere a craniate un bisonte. Ora, diciamocelo, sono un uomo e questo non gioca a mio favore. La prima cosa che un maschio adulti si sente ripetere quando sta male è quella di non riuscire a sopportare il dolore, pare infatti che un giorno, un vattelapesca di dottore (ma io sospetto…dottoressa) abbia stabilito che la soglia di sopportazione maschile sia di gran lunga inferiore a quella delle donne. Il discriminante è il parto. Sempre e comunque.
Puoi finire scorticato vivo e patire le pene dell’inferno, ma arriverà sempre una donna, in particolare una mamma, ovviamente non la tua (ma a volte anche la tua si lascia andare) che ti dirà con mento alto e sguardo fiero “tsè io ti farei provare i dolori del parto, vedrai che dopo gli altri sarebbero passeggiate di salute”.

Ma che cazz…ehm caspita di paragone è?…allora io ti farei provare a pulire i cessi durante il militare…vedrai che dopo ti sembrerà di camminare in campi di lavanda..
Lo so, in questo momento mi sto inimicando le simpatie di tutte le donne che mi seguono…ma abbiate fede, saprò farmi perdonare.

Insomma, io non ho mai partorito, e, a meno di clamorosi sviluppi genetici, dubito che proverò quel tipo di dolore, ma anche il mio “misero” mal di denti può dire la sua in fatto di dolore. Tra l’altro non mi sono neanche impressionato più di tanto, a parte allertare l’elisoccorso (questa me l’hanno suggerita su facebook) e iniziare a scrivere le mie ultime volontà, per il resto niente di che.

Il medico che mi visita è quello dell’aloe, ma stavolta è vestito e ha pure rinnovato il campionario delle bestemmie. Sbadiglia, sbuffa, scuote la testa…cazzo l’ho svegliato, mi dispiace….mi sento in colpa, ma il mio premolare mi riporta alla realtà, se non mi da qualcosa gli salto in testa come un mastino napoletano. Prende una fiala e una siringa…si avvicina e mi propone una domanda spiazzante “preferisci sulle chiappe o in bocca?”…oh…non scherziamo…che domande sono…non capisco ma nel dubbio rispondo “chiappe! Se non altro sono libero di protestare” (questa è un pò articolata, infatti lui non l’ha capita e m’ha somministrato il Tora-Dol per via sub-linguale).

L’effetto è pressoché immediato, riprendo ad essere nel pieno della mia (semi) facoltà mentale, salgo in macchina ed è ancora buio…e qui…scatta qualcosa….

Non mi capita spesso di guidare mentre tutti stanno dormendo, tantomeno mi capita di farlo nella mia città, è una sensazione strana, ne approfitto e faccio il “giro lungo”, arrivo in centro ed è deserto, è silenzioso, è bellissimo. Decido di fare due passi per il corso, lo so, non è una cosa da persone sane di mente, ma cavolo, sono sotto anestetico….posso permettermelo.
Non l’avevo mai vista sotto queste veste, anzi, l’avevo vista, ma non l’avevo mai guardata, eppure lei era sempre stata lì, con le sue insegne, la piazza con la fontana, l’hotel a ore vicino alla stazione, che ti prendono per pappone anche se ci vai con la tua bisnonna, il duomo, le due banche, il panettiere che conosco da una vita e mi chiama dicendomi “oh…che cazzo ci fai in giro a quest’ora?” – “niente, facevo due passi” lui scuote la testa urlandomi “cambia spacciatore !!!” , il silenzio è quasi totale, quasi mi imbarazzo a camminare, ho timore dei miei passi, del mio telefonino che scatta foto, come se stessi vedendo per la prima volta quelle case e quelle vie, che a pensarci, forse è veramente la prima volta che le guardo così. E adesso posso tendere l’orecchio, e se ascolto bene lo sento, si cavolo lo sento… Il rumore di fondo della città, il suo respiro e lo sento così bene che mi pare anche di percepire il saliscendi dei suoi polmoni, il petto che si gonfia.
Torno in macchina, dalla radio esce una canzone in francese, perfetta per quell’atmosfera da tardo decadentismo parigino.

Questa è la mia città con la giusta misura, non troppo invadente, nè troppo indifferente, ci accoglie, ci protegge col suo pezzo di mare, ci guarda passare pensierosa e sognante, ci lascia partire ed incrocia le dita.

In realtà questo post è nato appena sono rientrato a casa, non volevo rischiare di perdere certi suoni e certi odori, e poi come dice il Liga “sarà che anche qui, le quattro del mattino, sarà che anche qui l’angoscia e un pò di vino”…il tempo che abbia inizio in pieno l’effetto dell’analgesico e quando riapro gli occhi è giorno fatto. Com’è giusto che sia.

Perchè la mia “piccola città” mi guarda e sorride. (lo so, vi aspettavate il Guccio…e invece…noi siamo un po’ più rock).

Dodici uomini e un “Gallo Nero” (taggami ‘stogatto)

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La domanda è molto semplice: esiste un’età in cui si dovrebbe smettere di fare cene fra amici uomini?

Tendenzialmente la risposta è no, si, forse in alcuni casi è la classica risposta di circostanza, magari qualcuno ne farebbe volentieri a meno, oppure altri, forse la maggioranza, la vivono come un’occasione per fuggire dalla routine quotidiana, che comprende mogli, figli, cani da portare a spasso e buste di immondizia da gettare, sperando di incrociare, lungo il tragitto che li separa dal cassonetto, la figlia della fruttivendola che ha un culo che da solo ti svela il terzo segreto di Fatima.

Personalmente non mi capita spesso di cenare fuori, a dirla tutta non ne sento neanche il bisogno, ma un paio di giorni fa mi giunge un messaggio e aprendo il suo contenuto mi si è manifestato un invito per una reunion fra vecchi amici. Un pò come quando apri l’uovo di Pasqua e appare l’anellino di stagno col fiorellino sopra. Già rotto.

La mia leggendaria pigrizia post- lavoro (che poi alla fine è uguale a quella “pre” lavoro e “durante” lavoro) mi fa rispondere con una frase laconica e inattaccabile: “sono da un cliente, ci penso e poi ti faccio sapere”, che tradotto nel mio linguaggio sarebbe: “sto prendendo tempo per inventarmi una scusa plausibile per non venire”.
Torno a casa, confesso che non ci pensavo neanche più, dopo tre ore mi arriva un altro messaggio: “dhe ciccio, pensaci dell’altro” (è in fedele dialetto livornese, ma rende bene il concetto).
Confesso che ho temuto seriamente di trovarmi nel copione del film “La cena dei cretini”, non so se lo conoscete: un gruppo di amici si ritrova e ognuno di loro deve portare con sé un cretino (che ovviamente non sospetta niente), colui che porta il cretino…più cretino vince un favoloso premio (confesso che sulla scia di questo copione, ho partecipato una volta ad una…cena delle cozze, ma non ne vado fiero, anche perchè non ho vinto).

Insomma, la faccio breve, ho deciso di andare.
Ma si, una cena fra veri uomini, a base di grigliata di carne, vino chianti, rigorosamente Gallo nero, spumante e acqua leggermente frizzante. Per me. Prevedevo risate, prese di culo, calvizie incipienti e pance alla Bud Spencer. Per sicurezza mi sono imboscato il mio fedele blocchetto nella tasca della felpa. Convinto che ci sarebbe stato da prendere succulenti appunti.

E quindi eccoci qua, una dozzina di ex ragazzotti, sulla soglia dei quaranta, seduti ad un tavolo, che fra di loro non si chiamano mai con il nome di battesimo. Fra uomini non usa, vengono coniati dei pittoreschi soprannomi tipo: ‘Ciccione’, ‘Testa di cazzo’, ‘Buffone’, ‘Godzilla’, qualcuno confessa scelte discutibili, ci raccontiamo aneddoti che conosciamo a memoria ma che ci fanno ancora piegare in due dalle risate. La grigliata fa schifo, non si riesce neanche a capire a quale tipo di animale appartenga la costola che stiamo mangiando, ma notiamo che mancano un paio di gatti che ci gironzolavano intorno prima che ci sedessimo a tavola.
Parliamo pochissimo di donne e troppo di calcio, si, forse stiamo invecchiando un pò.
Effettivamente se riesci a ricordarti le gesta di Carlo Ancelotti con il pallone fra i piedi, forse un pò di candeline le hai spente.
Poi alle cene fra uomini c’è sempre l’ostacolo della divisione del conto. Ci presentiamo tutti alla cassa con banconote da cinquanta, che il padrone per fare i resti è costretto a fare un salto in sacrestia, e alla fine c’è sempre lo sfigato che deve pagare di più, perchè la crisi si fa sentire anche durante il rito dell’offertorio.

Probabilmente non vogliamo arrenderci al tempo, si, perchè siamo in quell’età che avresti voglia di fare le cose che facevi dieci anni fa e invece ti ritrovi a riflettere su quelle che farai fra dieci anni, un misto fra il desiderio di salire nuovamente sul Tagadà del Luna Park (che non ho ancora capito se è una giostra internazionale o se esiste solo nella mia provincia) ed evitare di farlo perchè se ti giochi il legamento crociato poi come farai ad andare a lavorare per estinguere il tuo mutuo cinquantennale?
E allora ti accontenti di fare la tua comparsata su facebook e di lasciare commenti insulsi, principalmente per essere al passo coi tempi, perchè, diciamocelo, che cazzo gliene frega alla gente se hai forato la macchina in superstrada, ma tu lo scrivi lo stesso e per essere sicuro che ti notino ci tagghi pure una ventina di persone.

E allora, queste cene servono per farci comprendere che siamo cambiati e per compatire quei due o tre che non l’hanno capito e si presentano con i bermuda e il bomber double face dei primi anni novanta, grigio fuori e arancio a.n.a.s. dentro.

Durante questi incontri ti viene naturale fare dei bilanci e ti domandi se le cose siano andate veramente come le immaginavi, se la tua e la loro vita abbia preso la piega sperata, alcuni si sono “realizzati”, altri sono ancora “under construction”, qualcuno ha preso schiaffi dal destino e li ha presi così forte che porta ancora il segno delle cinque dita sulla guancia, ma per un paio d’ore abbiamo lasciato tutte le nostre inquietudini fuori dal locale, come se sulla porta ci fosse il cartello “noi non possiamo entrare”. Consapevoli che una volta usciti le nostre esistenze avrebbero comunque ripreso il loro corso regolare. E la bacheca del tuo profilo sarebbe stata lì pronta a testimoniarlo.

Ci siamo salutati promettendoci di ripetere presto questa cosa, sapendo già che non sarà così. Ma sono quelle cose che si dicono senza crederci, solo per il piacere di sentirsi per un attimo nuovamente a fare gli scemi nel centro del Tagadà.

Anche i vicini…nel loro piccolo si incazzano

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Ci scegliamo gli amici, selezioniamo i parenti fanculizzandoli estromettendoli da tutte le nostre vicende domestiche, ma esiste un’elite di persone che ci accompagneranno per un lunghissimo periodo della nostra presenza su questo pianeta, no, non mi riferisco agli ufficiali giudiziari, quelli ci seguiranno anche dopo la nostra dipartita, sono i vicini.

Quindi, se il tuo ultimo domicilio conosciuto non è Villa Certosa e non hai un nome improponibile tipo Nathan Falco, dovrai quotidianamente confrontarti con la gentile signora Iole, che avrà cura di far cacare il suo cagnolino sul tuo pianerottolo.

Qui si verifica un evento oscuro da decifrare come il concetto di noumeno nel pensiero filosofico di Kant, il fenomeno prevede che il minuscolo canide, difficile da vedere ad occhio nudo, riesca a concimare il tuo zerbino come se ci fossero passati tutti insieme gli elefanti di Moira Orfei.

Altri aneddoti coloriti, da raccontare ai nipoti davanti un focolare nelle fredde serate novembrine, si manifestano quando, dopo un tempo smisurato decidi di aprire uno spiraglio nella finestra di camera, solo il tempo necessario da poter permettere a quel sottilissimo filo di ossigeno di garantirti la sopravvivenza per i prossimi quindici minuti.
In quel preciso istante, la comare del piano di sopra si prodiga nello shakerare la tovaglia del veglione di capodanno, così, in pochi istanti ti troverai il copriletto tempestato di briciole bellissime come i diamanti su una riviera Cartier e tutti i piccioni di Piazza San Marco si radunano sul tuo davanzale con il piattino per le offerte.
Contemporaneamente il suo canuto consorte prenderà la sua collezione di mutande non pre-lavate e aprirà uno stand dal suo balcone, se avrai avuto l’accortezza di posizionare sotto un recipiente vuoto, il giorno del vostro anniversario farai un figurone con tua moglie regalandole una peLi-ccia a collo alto di volpi bianche dal manto riccioluto.

Se poi vuoi provare l’ebbrezza di essere la controfigura di Tom Cruise, puoi avventurarti nella tua mission impossible decidendo di parcheggiare nel tuo posto auto.
Lì capirai che il mercato dell’auto non è assolutamente in crisi e il tuo dirempettaio ne è un fulgido esempio, non sai di preciso quanto vetture siano di sua proprietà, sai soltanto che Marchionne da 5 anni gli manda il cesto di Natale.
Occupa tutti i parcheggi disponibili da Viale Marconi a Piazza della Chiesa, compreso il posto del sacrestano, poi passi davanti al suo garage, grande come la piazza rossa di Mosca, centimetro più centimetro meno e lo trovi aperto e costantemente….vuoto.
La tua unica valvola di sfogo, oltre a quella di nominare tutti i vari protettori da Sant’Abate a Santa Zita, sarà di prendere il chewingum che stai masticando da 5 ore e di imboscarlo dietro la maniglia della portiera della sua ultima fuoriserie.

Aspetti fiducioso il giorno in cui suoneranno alla porta e sua moglie ti implorerà di prestarle il sale, lì, nascosto dentro la credenza, darai fondo a tutta la tua salivazione e ti presenterai da lei col barattolo in mano fiero e baldanzoso come Lapo Elkann di ritorno da Amsterdam.