L’uragano e l’aquilone.

Mi chiamo Robert, faccio vittime ma non sono un assassino. Me lo ripeto ogni volta, ogni maledetta volta che strappo via una vita. Chiudo gli occhi e me lo imprimo nella mente. Io non sono un assassino.

Il mio nome non compare nei libri di storia, perché non ho storia. Dicono che ogni uomo ha un destino intero da raccontare, che se lo porta dietro, cucito addosso come un abito da cerimonia. Perfetto e insopportabile. Ma quelli come me non vorrebbero aver vissuto, quelli come me sono solo impostori sfuggiti al controllo della sorte. Quelli come me sono lupi in caccia, che sbranano le esistenze senza provare rimorso.

Sono solo un anonimo irlandese costretto a vivere a New York, tutto qua, niente di preoccupante, un uomo come tanti, di quelli che se li incontri al parco li saluti con un sorriso. Uno di quelli che ti passano vicino e neanche te lo immagini la voglia che hanno di essere normali. Neanche te lo immagini la cenere che hanno in fondo al cuore. Anime di falco costretti a nuotare in mare aperto.

Neanche te lo immagini che se ti siedi di fronte a me non farai mai più ritorno.

Io sono quello che gioca con le leve, con metodica freddezza, l’unica forma di riscatto di un’esistenza vissuta senza vivere davvero. Tre secondi la prima leva. Un minuto per riprendersi la rabbia dal respiro. Tre secondi la seconda leva. Giusto il tempo di urlare contro questo soffitto assurdo di sogni e di cemento tutto lo schifo avuto in dono. Un altro minuto per pescare a piene mani nel fiume in piena della collera più estrema. Ultimi secondi alla massima potenza prima di togliere corrente. Ultimi interminabili istanti passati giocando a fare il padreterno.

Ne ho uccise talmente tante di persone che quasi faccio fatica a crederci. Infedeli e sovversivi, cospiratori e ladri dell’umana virtù. Ho reso migliore la vostra vita, voi, animi gentili, indifesi, dame e cavalieri senza peccati da espiare. Ho alleggerito i vostri incubi, ho profumato i vostri sogni, rendendo insopportabili i miei.

Di tutti quei visi che ho visto spegnersi senza scampo ricordo solo l’ultimo sguardo implorante di una pietà che non sarebbe mai arrivata. Non conosco i nomi di quelli a cui ho fatto l’anima a brandelli, non li ho mai voluti sapere, solo le mani, solo quelle mi sono rimaste impresse a fuoco nella memoria. Le mani di qualcuno che sa di dover morire. Alcune strette a pugno, come a tenersi stretto l’ultimo istante in questo mondo. Altre aperte come a sentire per l’ultima volta l’aria sulla pelle. Come a farsi scivolare la vita fra le dita. Come a dire non finisce qui, non so come, non so cosa accadrà. Ma non finisce qui.

Questa sera rumorosa di una notte che tarda ad arrivare ci sono due uomini che attendono di porre fine al loro destino. Non mi aspetto niente di diverso, sarà tutto come sempre, come deve essere, li porterò al di là dei loro stessi pensieri. Sono solo due anarchici italiani che si proclamano innocenti, niente di nuovo, quando entrano in quella stanza e si siedono sul trono sono tutti angeli immacolati. No, decisamente, niente di nuovo. Solo l’aria più leggera. Niente di più

Entrano senza fare il minimo rumore, niente di nuovo, solo non si vedono le mani. E l’aria è più leggera. Ancora. E quando è così è una stramaledizione, perché finisci per sentirla davvero la loro anima che urla, finisci per vederli davvero quegli occhi sicuri che non implorano perdono, ma solo verità. Finisci per percepirla davvero la storia che si portano addosso. Come un abito da cerimonia. Perfetto e insopportabile.

Quando è così il mio spirito si ribella, davanti a questi due uomini le mie braccia si fanno pesanti e non ne vogliono sapere di allungarsi verso quelle maledette leve. Questi due uomini qua non mi lasceranno in pace, già lo so. Loro sono lo schiaffo e la speranza, l’uragano e l’aquilone. Loro sono l’ingiustizia e la sua leggenda. Loro sono Nicola e Bart.

E’ passata da un pezzo mezzanotte, sono qui seduto al tavolo di questo schifo di taverna a finire il ventesimo bicchiere di Jack Daniel’s. Questa notte ho ucciso ancora, questa notte ho ucciso davvero.

Solo una certezza riesce ancora a farmi respirare, un’unica, assoluta certezza. Non finisce qui, non so come, non so cosa accadrà. Ma non finisce qui.

Mi chiamo Robert Greene Elliot e stanotte ho giustiziato Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti sulla sedia elettrica. Stanotte sono un assassino. Stanotte. E per tutte le altre notti.

« Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — non augurerei a nessuna di queste ciò che ho dovuto soffrire per cose di cui non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui sono colpevole. Sto soffrendo perché sono un radicale, e davvero io sono un radicale; ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano […] se voi poteste giustiziarmi due volte, e se potessi rinascere altre due volte, vivrei di nuovo per fare quello che ho fatto già. »
(dal discorso di Vanzetti del 19 aprile 1927, a Dedham, Massachussetts)

Dedicato alle idee che sopravvivono e alle persone che si sono sacrificate per esse.

Nicola and Bart.

28 pensieri su “L’uragano e l’aquilone.

  1. Per quelle come me, che di questa canzone e del suo significato reale hanno fatto una bandiera per tutti gli anni della loro scapestrata e meravigliosa gioventù, questo tuo scritto, questa tua meravigliosa “veglia funebre”, elegia di un principio di libertà e giustizia, è davvero UN DONO.
    Merita attenderti, sempre.

    • Non ho vissuto quegli anni e probabilmente non colgo appieno il significato della canzone, posso solo dire che mi piace tantissimo, quando giorni fa l’ho sentita, di nuovo, ho avuto il bisogno di scrivere questo post. Per tutti i Nicola e Bart, per tutti quanti. Se lo meritano davvero.

  2. Stupendo come sempre, chissà se Elliot si pentì mai della sua scoperta….e del suo utilizzo, un quesito che penso tutti gli inventori si fanno: Quanto si è responsabili dell’utilizzo che poi viene fatto della loro invenzione? anche in considerazione del fatto che il suo metodo faceva in modo che il cuore si arrestasse immediatamente evitando sofferenze inutili…..

  3. Mi sono presa il tempo per fermarmi qui oggi, tra questi ritratti di uomini che cercano ossigeno e luce, che sanno di poter volare e scelgono invece di continuare a camminare, di donne che sono come paesaggi in corsa visti dal treno, donne che guardano il mare, persone che fuggono, che restano o che tornano. tutti intensi, spesso dolorosi, eppure in qualche modo mi sembra che rendano un po’ più vivibile il mondo, restituendogli uno sguardo “umano”, nel senso migliore, proprio nel momento stesso in cui ne descrivono la crudelta. Uno più bello dell’altro, davvero. Chapeau 🙂
    Alexandra

  4. Oltre ogni considerazione,aldilà di ogni significato,rimane la struggente poesia che accompagna ogni tuo racconto, è sempre un piacere leggerti.Mafy.

  5. Io non commento molto. Solo se vale la pena. Ma cavoli, i tuoi racconti sono gli scritti migliori che ho trovato qua in giro. Al di là di emozionare, ed emozionano sul serio, ma sai una cosa? Mi rimangono impressi, come quei libri che leggo e mi accompagnano per tutta la vita. I tuoi racconti rimangono. Non lo so esprimere meglio di così al momento..

    • Giuro che non mi aspettavo un commento così, toglie un po’ il fiato, ma è una bella sensazione. Vedi, quando ho aperto questo blog non avevo idea di dove mi potesse portare, non volevo saperlo, avevo solo la necessità di scrivere qualcosa e mi piaceva l’idea di sottopormi a giudizi esterni, di mettermi alla prova. (Dubita sempre da chi ti dice che apre un blog solo per se stesso. In quel caso basterebbe un quaderno). Insomma, ancora non so dove mi porterà e non lo voglio sapere, penso solo a godermi il viaggio. Ti ringrazio, davvero tanto e non lo dico tanto per dire, ti sono davvero grato. Perdonami, ma non so spiegarlo meglio di così.

      • Mi fa piacere che ti abbia fatto piacere. L’ho scritto perché lo penso. Non so dove ti porterà il blog, non so dove il mio porterà me, ma tu non smettere di scrivere, sarebbe un vero peccato. Qualsiasi sia il motivo che ti ha portato ad aprirlo.

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