Per noi che abitiamo in provincia fare un giro a Livorno è sempre un’occasione per imparare cose nuove e nuovi modi di dire che sono un riassunto perfetto delle dinamiche quotidiane della vita. In una frase viene rappresentato un intero universo di situazioni e, perché no, di umane sofferenze. Tipo “Alli zoppi pedate nelli stinchi” oppure “chi lavora e si strapazza…malidetta la su’ razza”. Ma anche espressioni che fotografano la vita familiare, di solito quella degli altri. Tipo “C’ha più corna lui d’un cesto di chiocciolini” (che sono le lumache col guscio piccoline) oppure “se le maiale volassero a tu’ ma’ darebbero da mangia’ con la fionda” (ecco, questa se non la capite è meglio).
Quindi Livorno insegna, non c’è niente da fare, anzi, sarebbe opportuno visitarla con un blocchetto e una penna per poter prendere appunti. Ma Livorno è soprattutto una città di mare, con la passeggiata, la scogliera, le isole all’orizzonte e gli stabilimenti balneari. La spiaggia del lungomare è un susseguirsi di ombrelloni e sdraio disposti con geometrica perfezione. Per gli stabilimenti vale la stessa regola delle città: quelli all’inizio e alla fine della spiaggia sono le periferie, quelli in mezzo sono i quartieri “buoni”. E nelle periferie, si sa, c’è la vita vera.
Mi è capitato di essere ospite di uno di questi stabilimenti di periferia, ma non uno qualunque, no, proprio il primo in assoluto. In pratica ho preso il sole al Quarto Oggiaro degli stabilimenti livornesi. Trovarlo è facile, due passi dopo la statua di Bud Spencer, non puoi sbagliare. Ecco lì c’è tutta la vera Livorno. E la più altra concentrazione di “teciceni”.
I veri livornesi, quelli con il bollino D.O.C.G. iniziano ad andare al mare intorno al 26 febbraio. In quella occasione si portano il tavolino da pic-nic e lo incatenano all’ombrellone. Lo lasceranno lì fino al 25 febbraio prossimo. In pratica entro la prima settimana di marzo il 98 percento della spiaggia è già occupata, da quel momento chiunque arriverà sulla spiaggia farà alcune semplici mosse. Si guarderà intorno, si avvicinerà con il tavolo da pic-nic in mano e la borsa frigo sulla spalla a un ombrellone occupato ed esporrà una semplice domanda alla persona sulla sdraio: «Te ci ceni?ۛ». Più che una domanda è una supplica, tipo “ti prego, sono le sette di mattina, dimmi che fra dodici ore te ne vai. Guarda, ti offro io una pizza, ma non rimanere a cena qui”.
Lo scopo della domanda è sapere se si libera il posto entro un’ora decente. Come quelli che stanno tredici ore a girare nel parcheggio dei Gigli di Campi Bisenzio in attesa che qualcuno se ne vada. Il “teciceni” è una vera e propria forma di saluto, più di “ciao”, di “piacere”, è qualcosa che ha a che fare con l’educazione «che antipatico, non mi ha detto neanche teciceni», oppure «era una persona tanto buona, diceva sempre teciceni».
Anche i bambini lo usano per fare conoscenza, è il sistema perfetto per rompere il ghiaccio. Capita così di vedere un ragazzino timido che guarda il vicino di ombrellone giocare con la paletta e il secchiello, due solitudini che si cercano. La mamma del timido gli sussurra all’orecchio «Perché non vai a conoscerlo?», con il tono più amorevole del mondo. «Mamma, mi vergogno, che gli dico?», risponde il figlio stringendosi nelle spalle. «Che ne so. Vai da lui, gli dici teciceni e iniziate a giocare insieme», perché l’educazione prima di tutto.
E’ una vera e propria forma di rispetto, che viene insegnata fin dalla prima infanzia. Avete presente quando da bambini camminavamo in mezzo al babbo e alla mamma e incontravamo una loro conoscente? Ecco, qui è uguale. C’è sempre uno dei due genitori che dice al bambino «Su, Igor, dì teciceni alla signora».
Già, i nomi. La posizione degli stabilimenti e i nomi dei bagnanti sono strettamente legati. Qui, nella estrema periferia balneare possiamo avere la conferma di questo ineluttabile assioma cartesiano. Quelli maschili spaziano da: Igor, Iuri, Chevin, Maicol e Attias (che probabilmente è il nome della piazza dove è stato concepito il bambino), tutti, rigorosamente, scritti come si pronunciano. Per le ragazze i nomi variano in base alle soap opera preferite dalle mamme: Bruc (presumo quella di “biutiful”), Sciana (quando si ama), Sciaron e Suellen (moglie di Geiar in Dallas. Ma che ne sanno i “millennials” degli sceneggiati, quelli belli).
I genitori sono abbronzantissimi e tutti, rigorosamente ricoperti da tatuaggi, roba che Fedez scansati proprio. I soggetti disegnati sulla pelle sono per il novanta percento a sfondo politico. Il Che, Fidel Castro con il Che, il Che con la bandiera del Livorno, il che con la falce e il martello e la scritta “Pisamerda” sulla maglietta del Che. E’ un tripudio assoluto di “boia dé, Rivombrosa esci dall’acqua che ti spuntano le branchie. E’ arrivata Donna, vai a dargli il teciceni”.
E allora li vedi arrivare da lontano, il babbo con la borsa frigo a tracolla, che da queste parti chiamano “ghiacciaina” e il tavolo da pic-nic nell’altra, la madre che cammina un passo dietro ai figli Igor e Sciaron. Avanzano a mani giunte, tranne il padre che sta cedendo sotto il peso della ghiacciaina e gli occhi rivolti verso il cielo in segno di supplica. Sono i nuovi discepoli, i templari del tecicenismo.
Dovresti farle più spesso queste cose.
Eh, dovrei essere più spesso in ferie 😂
Sempre una scusa pronta, voi uomini.
Guarda, oggi ero ispirato, ne ho un altro già in cantiere. Per la serie “fatemi dormire 8 ore e vi solleverò il mondo” .
Bellissimo, buon pomeriggio 🙂
Oddio “bellissimo” mi pare troppo, però grazie.
No non è troppo, è istruttivo, scritto benissimo, descrittivo e con la tua inconfondibile ironia, ripeto, è bellissimo 🙂
Cavolo, una serie infinita di complimenti. Grazie davvero.
Io nonnciceno! Sono forestiera qui e questa realtà ho sempre fatto fatica a capirla… ritrovo molto della mia strana città adottiva in questo tuo pezzo, molto brillante, complimenti e grazie! Ho trovato il teciceni sublime!
Se può consolarti nonciceno nemmeno io, figuriamoci, pane e sabbi anche no. Sai com’è, qui in provincia siamo un po’ più sofisticati. 😂 Grazie per i complimenti.
Bellissimo! Mi sono divertita un sacco a leggere questo spaccato di vita toscana , davvero ben scritto!!
Mi sono limitato a fare una cronaca dei fatti. 😂 Grazie mille.
Io comunque finché non fa buio – che a fine giugno significa alle dieci – dalla spiaggia non mi scollo.
A chi lo dici…Ah che bello, il bagno alle dieci di sera, il vento leggero, l’umidità, i reumatismi…
Reumatismi?! Non ho ancora settant’anni cazzo, ci penserò quando sarò vecchia, casomai.
No no, io parlavo di me. Che all’anagrafe non ho settant’anni però fisicamente sì.
Non dire puttanate, sei giovanissimo e bellissimo, io lo so.
Ahahah, questi superlativi assoluti usati a casaccio? Lo sai? Mi è sfuggito qualcosa? 😂
Prima di scrivere ho accuratamente controllato, anche se ne ero sicura già da prima. D’altra parte sono giovanissima io, come potresti non esserlo tu che potresti mooolto comodamente essere mio figlio?
Ahahah, non voglio sapere dove hai controllato, mi fido sulla parola 😂
Beh,ma era facile, dai.
Comunque…se fossi tuo figlio te avresti ottant’anni. Per dire 😂
Biologicamente potrei avere un figlio di 55 anni, socialmente di 50, quindi tu coi tuoi 44 (giusto?) ci stai dentro mooolto comodamente. Il fatto che abbia 12 anni meno di tua madre non significa niente.
Te sai troppe cose su di me. Sono altamente ricattabile (sono 45).
E’ la mia specialità. L’ultima divertente è stata quando un tale ha detto qualcosa a proposito di sua suocera, che io non conosco e non ho mai incontrato, e io ho detto: “Sì, tua suocera è molto bella, però ha i piedi piatti”. Naturalmente sua suocera HA i piedi piatti.
Ma 45 compiuti?
Eh, compiuti sì, però non ho i piedi piatti.
Infatti non ho mai detto che tu li abbia!