Cercando un accordo in La minore.

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Questa è una storia cattiva, iniziata in una notte cattiva.

Una di quelle notti in cui cerchi il profilo della vita fra le cose sconosciute, e il buio serve a fantasticare, una notte in cui l’anima può gridare per risvegliare la tua coscienza dal torpore. Una di quelle notti in cui l’unica cosa giusta da fare è partire.

E ti trovi lì in mezzo fra peccatori e santi e tu non sei mica Dio, non cerchi niente, e rimani lì in bilico fra l’essere il boia o il condannato.
Una di quelle notti in cui devi scegliere se vivere e farti male o stordirti e ovattare l’inquietudine.
Perchè è sempre quello il punto: scegliere.
E ogni scelta comporta una rinuncia, è un compromesso che devi fare con la tua esistenza e alcune persone proprio non ci riescono a fare compromessi.

Scegli il vestito da mettere, le strade da percorrere, le persone da frequentare. E ti senti libero, o almeno, hai l’impressione di esserlo, che comunque non è poco.

Ma come dicevo, questa è una storia cattiva e in quella notte cattiva qualcuno scelse di vivere e farsi male, almeno quella sera e uscì da un locale alla moda, pieno di gente alla moda, con bicchieri colmi di cocktails alla moda.
Uscì con l’intenzione di vedere il mare, che poi, vedere il mare alle tre di notte in una sera di novembre non è neanche tutta questa bellezza, però era il suo modo di lucidare un sogno.
Ma quelli come noi ad alcuni sogni non possono neanche avvicinarsi, forse perchè troppo vicini al cielo o più semplicemente perchè c’è qualcuno che sceglie per noi, magari mimetizzato fra le persone comuni, magari nascosto dentro un Suv con gente che quella notte, come altre notti, ha scelto di affogare le sue paure dentro un paio di bottiglie di vodka. E all’incrocio dell’esistenza tira dritto. E investe il tuo sogno mandandolo in frantumi. E mentre sei lì a capire cose che ti sfuggono ti viene da sorridere pensando “cazzo…proprio stasera no!”.

No, io non c’ero, in quella notte cattiva ero altrove, a parlare di scemate a lucidare altri sogni, a cercare accordi in La minore, che era l’unico modo che avevo per rimanere a galla. Lo conoscevo bene il protagonista di questa storia cattiva e si, ok, non era un santo, ma come direbbe Vecchioni “se l’hai messo vicino a un assassino toglilo di lì Signore”, che in fin dei conti voleva solo vedere il mare alle tre di notte.

Non c’ero ma da quella notte ho cercato di aggrapparmi ai miei sogni più ruvidi, perchè questa è la vita che mi sono scelto, questa è la vita che mi seduce, come un’amante che mi scopa e mi addormenta e sparisce al mattino senza lasciare il numero, so che mi ingannerà, che mi leggerà la mano inventando nuove linee e nuove traiettorie, come le zingare da quattro soldi, non ne capirò il senso, non avrò il tempo di farlo, perchè il tempo è una dimensione che non riesco a gestire. Ma voglio continuare a rincorrere onde notturne e a dormire ancora un pò cercando il profumo del mare alle tre di notte.
E allora non mi resta che aspettarla con il cuore in gola e se lei continuerà a scoparmi pazienza. Io continuerò a farci l’amore. Con la mia vita che seduce.

Non so quante altre notti come quella ci saranno, quante altre storie senza uno straccio di lieto fine, davvero non lo so. L’unica cosa che posso fare è continuare a cercare un accordo in La minore in attesa di vedere l’alba che nasce ad oriente.

“La vita è fatta di rarissimi momenti di grande intensità e di innumerevoli intervalli. La maggior parte degli uomini, però, non conoscendo i momenti magici, finisce col vivere solo gli intervalli” (Nietzsche)

Accompagnato da questa.

Solo un sacchetto sul diaframma.

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Come quando ti volti e loro sono sparite, stavano lì, sul sedile del passeggero o sul sellino della moto, ti sei distratto un attimo e non c’erano più. Perchè le parole sono fatte così.

Si, loro spariscono, o magari ti rimangono piantate sulla bocca dello stomaco, e non sentono ragioni, restano lì si siedono e ti guardano.
Una volta un’amica mi disse: “dentro di me c’è una piccola Shirley Temple che mi osserva seduta con le gambe incrociate e la faccia seria”. Ecco, io su quella sedia ho il sacchetto delle parole perse, quelle non dette, quelle che sono state per un attimo sulla punta della lingua ma alla fine non hanno avuto il coraggio di fare il salto. Quelle che “volevo dirtelo da tanto”, “volevo dirtelo ma non ho fatto in tempo”.

Parlano di paure e di amori, di sconfitte e pianti inconsolabili e di persone, parlano sempre di persone le parole non dette. Sono quelle che raccontano di noi, frammenti dei nostri pensieri censurati e ricacciati giù in fondo, raccontano storie. Sono piene di “se lo dico poi succede un casino”, “se lo dico poi cambia tutto”, “se lo dico poi capiscono chi sono veramente”.

Ma nonostante tutto dobbiamo trovare un modo per respirare e quel sacchetto sul diaframma pesa sempre di più e allora siamo costretti a cercare uno stratagemma, a farle uscire in un modo o nell’altro. E alla fine lo troviamo. Nei silenzi.

Si nascondono lì le parole non dette. Nelle pause all’interno di un discorso, nei colpi di tosse strategici, negli “oddio” e negli “mi serve una sigaretta”, negli sguardi infiniti verso l’isola d’Elba, nei sorrisi fuori luogo, nelle mani passate fra i capelli. E sempre costantemente in ogni maledetto silenzio.

E impari a conviverci con i tuoi silenzi, a gestirteli, a cavartela da solo, che gli altri neanche immaginano quante parole non dette ci sono in quegli attimi assordanti. E anche se è contro il regolamento, vorresti regalare un pò dei tuoi silenzi, donarli a qualcuno, toglierli dai tuoi, che ne hai già avuti tanti.
E arrivano improvvisi quei silenzi, come il libeccio d’autunno, che non è mai il momento buono, che non eri preparato che adesso sì che avresti davvero bisogno di frugare in quel sacchetto e tirare fuori la parola perfetta.
Quella che sistemerebbe tutto, che porterebbe ogni cosa a suo posto, che se la dici succederà un cazzo di casino ma te ne fregherai.

Come quando mi volto e da qurant’anni le trovo lì, le mie parole non dette e i miei silenzi, e ogni volta sono diversi, ogni volta più pesanti. E ogni volta ci muoio un pò.

“”Gli uomini cantano quando le parole non bastano, quando non riescono a dirle, forse perché da sole sarebbero persino ridicole.”. Roberto Vecchioni.