Non c’è niente da fare, il mondo visto dal finestrino di un treno in corsa ha qualcosa di assolutamente perfetto. Un susseguirsi isterico di fotogrammi indefiniti, alcuni dei quali passano e via, altri, per una ragione che nessuno riuscirà mai a spiegarti, ti restano addosso. E non puoi farci niente, non sei tu a selezionare quali tenere e quali far scivolare via, decidono loro. Passano veloci, confusi in mezzo a tutti gli altri, ma per un motivo che nessuno riuscirà mai a spiegarti, ti restano addosso. Non c’è niente da fare.
Sara era quel tipo di donna lì, quella che sta seduta sopra un treno in corsa, con alcuni fotogrammi indefiniti che non ne vogliono sapere di andarsene dalla mente e qualcuno direbbe, perfino dal cuore.
Lei è una di quelle donne “senza scampo”, quelle che hanno la giusta età, anche se non si bene per cosa, quelle con la giusta eleganza, con la giusta leggerezza nei gesti, con la giusta risata morbida come un cuscino di piume e speranze. Tutto perfettamente equilibrato, tutto dosato a meraviglia, come una pozione giustissima di vita e passione. Tutto. Tranne gli occhi.
Quegli occhi lì hanno qualcosa di spaventoso, come una catastrofe, come uno sparo a bruciapelo. Quasi come un bisogno infinito d’amore.
Quegli occhi lì non ti lasciano in pace, ti si aggrappano addosso, non ti danno vie di fuga.
Quegli occhi lì sono senza scampo.
Sara si ripete che va bene così, in fondo va bene così, che si può vivere contando gli attimi di un qualcosa che somiglia ad una fotocopia di felicità. Un po’ più sbiadita rispetto all’originale, ma sempre meglio di niente. Si ripete che va bene così, anche se ogni maledetta sera si ritrova a contare tutti qui fogli, che occupano spazio ma non riempiono nessun vuoto, ma si ripete che in fondo va bene così, e continua a contare, e alla fine arrotonda per eccesso. Che il vuoto da riempire è davvero grande.
E allora Sara ha scelto di vivere con le illusioni coperte da una colata di cemento armato, che alla fine è più sicuro così.
C’è stato un tempo in cui ci credeva davvero, in quella cosa assurda dell’essere felice, intendo. Ci credeva davvero. Ne parlava come fosse qualcosa di tangibile, che a pensarci adesso si sente davvero una povera illusa, che se ci credi finisci solo per farti del male, Che tanto mica esiste davvero quella cosa lì, quella dell’essere felice, intendo.
Ce ne ha messo di tempo per capirlo, ma di certe illusioni proprio non riesci a farne a meno, e lei ce ne ha messo davvero tanto, di tempo, quasi cinque anni, che detto così potrebbe pure sembrare una cosa accettabile. Cinque anni di tempo, cinque anni di schiaffi e lividi da mascherare. Cinque anni di fondotinta a coprire ematomi e scuse da inventare. Cinque anni passati a trovare spiegazioni plausibili, che alla fine quello diventa il dolore più grande. Che poi i lividi spariscono, come fanno tutte le cose che ti aiutano a ricordare, invece di rimanere indelebili e fare il loro dovere, spariscono. E allora le sensazioni si confondono, la vita passa su quegli istanti e ne addolcisce il ricordo, che la vita si nutre di tempo e viceversa. E come due amanti, fanno compromessi, il tempo e la vita. Uno passa più veloce sui dolori dell’altra, la vita contraccambia falsando il grado di inquietudine sugli istanti più lunghi. Sono due amanti perfetti, non c’è niente da dire, il tempo e la vita.
E Sara ce ne ha messo davvero tanto di tempo per decidersi ad andarsene. Ce ne ha messo davvero un sacco. Di tempo. E di vita.
E così questa mattina ha preso la valigia che teneva da tre anni sotto al letto ed è partita. Questa mattina ha deciso così, non si è fermata a pensare, è partita e basta. E’ una cosa folle, partire e basta, un qualcosa difficile da spiegare, come quando prendi la rincorsa e salti dentro una pozzanghera. Una di quelle pozze d’acqua lasciate a terra come a ricordo di un temporale ormai andato. Non ti fermi a pensarci, ci salti dentro e via. E’ una cosa folle, Come partire e basta.
E’ arrivata alla stazione e senza starci a pensare ha preso il primo treno che la riportava verso casa. Sembrava che fosse lì per lei, quel treno, per lei e per la sua valigia piena di vestiti da dimenticare e di ematomi da indossare.
E’ partita, con la sua valigia e con i suoi occhi senza scampo.
Si è seduta nel primo posto libero e non ha potuto fare a meno di pensare, per la prima volta dopo cinque anni, non ha potuto fare a meno di pensare che non c’è niente da fare, il mondo visto dal finestrino di un treno in corsa ha qualcosa di assolutamente perfetto. E’ un susseguirsi isterico di fotogrammi indefiniti, alcuni dei quali passano e via, altri, per una ragione che nessuno riuscirà mai a spiegarti, ti restano addosso.
In quel preciso istante si è resa conto che quegli occhi senza scampo ne avevano viste tante di giornate sbagliate, anche troppe, ne avevano vissute davvero tante di emozioni, anche troppe. Ma erano servite, qualcuno potrebbe dire che l’avevano perfino aiutata ad essere più forte. Balle, lei ne avrebbe fatto volentieri a meno di tutti quei pensieri cattivi. Che quelle mani scagliate a lasciarle segni sul viso non la rendevano più forte, ma solo insensibile al dolore. A ogni tipo di dolore. Ad ogni tipo di sentimento.
Continuava a pensare, per la prima volta dopo cinque anni, non poteva fare a meno di pensare, quasi ci stava prendendo gusto, come se il suo cervello avesse iniziato a sgranchirsi i muscoli dopo un tempo assurdo passato a dormire.
E il secondo pensiero che le si affacciò alla mente era uno di quei pensieri leggeri, come la luce di certe sere, che anche se piove si ostina a brillare. Ed è quasi una forma di estasi. Pensò che in fin dei conti, erano solamente due le cose che la facevano fremere e allo stesso tempo la spaventavano davvero.
Una era l’idea di amare, quando si illudeva di essere amata.
L’altra era questo viaggio che la stava riportando verso casa. O comunque, verso qualcosa che si avvicinava molto a quell’idea un po’ appannata di vita.
Perché, in fondo, la vita è così, una miscela perfetta di amore e guerra. (Neil Young – Love ad War).
“Ci sono due modi per guardare il volto di una persona. Uno, è guardare gli occhi come parte del volto, l’altro, è guardare gli occhi e basta… come se fossero il volto.” (Alessandro D’Avenia)
Un abbraccio di affetto, incoraggiamento e sostegno a tutte le Sara del mondo.
Mi faccio portavoce e ti ringrazio. A nome di tutte le Sara del mondo.
Ecco…questa volta sei riuscito a stupirmi. Non per il contenuto, perché quello, con te, è sempre una certezza: intenso, profondo, pieno di sfaccettature come se facesse parte di te, quale che sia l’argomento trattato. Ma per la forma…si, lo stile con il quale lo hai scritto è…come dire…ancora diverso dal solito. Hai fatto parlare Sara…e Sara parla così, pensa così. L’hai resa credibile proprio perché l’hai lasciata essere se stessa. Mi piacciono queste “ripetizioni”, io che solitamente non le amo, perché in questo contesto servono a Sara, servono a lei per prendere ancora più coscienza. Quasi che ripetere una verità, per quanto difficile, la possa rendere più accettabile. E così’ Sara ci è riuscita, Sara è riuscita a scappare, anzi…è riuscita a tornare verso casa, la sua cera casa.
Che sia da stimolo per tutte le donne che accettano violenze, fisiche o morali che siano, per un’idea di amore che, alla fine, è solo una fottuta solitudine bastarda.
Gli occhi dovrebbero, sempre, essere lo specchio della nostra anima, ma a volte il nostro cuore non vuole vedere ciò che essi dicono.
Sì, mi sembrava giusto dare la parola a lei, a Sara. Non mi aspetto che qualche donna lo prenda come spinta per compiere atti di coraggio. Davvero, sarei presuntuoso ad aspettarmi tanto. Credo che ognuno di noi sia l’unica persona in grado di conoscere nei più intimi dettagli la propria situazione. Le persone che ci circondano dovrebbero solo starci vicino ed aiutarci nei momenti più duri. Senza però “obbligarci” a fare passi che ancora non siamo pronti ad affrontare. Quindi no, non mi aspetto niente da questo racconto, il suo scopo è solo quello di dire a chi vuole ascoltare “non sei sola”. Tutto qua.
Grazie infinite per essere passata di qua e aver colto in pieno il significato di questo racconto. È sempre un regalo leggere i tuoi pensieri.
Bellissimo…Sarà per l’omonimia, ma non c’è stato scampo per i miei occhi: nel leggerlo mi sono commossa!
Ti ringrazio Sara, è sempre un piacere realizzare che non qualcuno apprezza ciò che scrivo. Grazie davvero.
E’ sempre un piacere leggerti 🙂
Quando pubblichi un articolo, aspetto a leggerlo perchè si sa l’attesa accresce il piacere,
e anche perchè voglio avere il tempo di gustarmi tutto quello che scrivi con calma.
Complimenti e grazie,
e brava Sara!
Addirittura un prolungamento dell’attesa. Cavolo non merito tanto. Ti ringrazio tantissimo. Per quanto riguarda Sara, lei ha la mia ammirazione, ma ce l’hanno anche tutte le altre Sara che non riescono a trovare la stessa forza. Perché sono loro ad averne più bisogno.
Grazie, di cuore, ancora.
Niente da fare, il treno è sempre lui… https://papillon1961.wordpress.com/2014/04/27/il-treno/
Ti ringrazio per essere passato di qua, ti invito però a commentare solo per il piacere di farlo. Trovo che le tue doti di scrittore non abbiano bisogno di “strade alternative” per farsi conoscere. Un sorriso.
ma io non sono uno scrittore… 🙂
Penso che tu abbia la giusta sensibilità per capire il senso della mia osservazione.
Per me il blog è un luogo per scambiarsi opinioni, oltre che un passatempo. In questa ottica mi capita qualche volta di commentare o rispondere, per attinenza, più o meno provata, direttamente tramite un post che ho già scritto. Non sono pienamente d’accordo, ma comprendo e rispetto la richiesta.
Bel racconto, scritto con intensità e partecipazione. Io, come donna, ti ringrazio di aver affrontato questo tema e approfitto per esprimere solidarietà a tutte le “Sarà”, quelle con gli occhi “senza scampo”; sperando per la loro serenità e sicurezza personale che possano trovare il coraggio per prendere il treno della libertà.
Diciamo che non mi sono (volutamente) addentrato troppo nelle dinamiche del tema, perché credo che sia un argomento che necessita di essere trattato con il giusto tempo e soprattutto con la giusta preparazione, altrimenti si rischia di dire cose banali e scontate. La mia solidarietà va a questa Sara ma anche, e forse in parte maggiore, a tutte le Sara che non trovano il coraggio di prendere quel treno. Sono loro ad averne più bisogno, come tutti quelli che restano lì. Come quando proprio non ce la fai ad andartene. Come quando allunghi una mano e finisci per stringere solo aria. E magari fuori stanno tutti a dirti “ma che aspetti a scappare?”. Come se fosse facile. Come se loro sapessero come fare. Come se loro avessero provato una volta, una sola maledetta volta, la sensazione di stringere l’aria.
Ok, mi sono fatto prendere un po’ la mano, ma il tuo commento meritava…il giusto tempo.
Grazie infinite.
Amico mio dovrei ripetermi ogni volta che ti leggo… sei sempre una bella conferma…una bella emozione…
hai talento, bischero! 😉
Non ti senti un po’ stretto sul blog? Pensa al profumo del cartaceo… ma pensaci davvero! 🙂
ciao carissimo… un abbraccione
Oddio, non ti ci mettere anche te (=tu) 😜. Sì, ci sto facendo un pensierino, ma proprio…”ino ino” non so da che parte iniziare. Comunque sappi che se un giorno dovessi iniziare a fare sul serio sarai la prima (del web) a saperlo. Parola di lupetto. 😂😂😂
Ohi, seriamente. Grazie. È bello sapere che mi leggi. E non illuderti, io leggo te. 😜
mi leggerai meglio…nel futuro prossimo 😉
piccoli progetti… piccole bozze… piccole cose… le mie solite miniature 🙂
ottimo racconto, vero e coinvolgente…complimenti
Grazie infinite.
Ti fanno molti complimenti. Sei una situazione letteraria atipica per la prosa sui blog e lo sai bene.
Ti ho consigliato di cimentarti col cartaceo e mi pare di non essere il solo a dirtelo: secondo me già così sei una spanna sopra a molti pseudo e paludati scrittori. Poi sei moderno, modernissimo ma senza sovrastrutture del cavolo, artifizi di tendenza che oggi quasi tutti usiamo a piene mani. Inoltre sai giocare con i tempi e i piani del racconto e questo è davvero una dote rara, dentro Sara e fuori Sara… così le donne che leggono diventano quel nome ed io prendo lo stesso treno suo ma scendo la fermata prima per non soffrire. Ciao bbeddu ti tengo d’occhio.
Ammetto di essere un “racconta storie” improvvisato, nel senso che non ho mai frequentato corsi di scrittura creativa o roba simile, oh, intendiamoci, tanto di cappello a chi lo fa. Solo che per me scrivere è un “diversivo”, non ho mai pensato di farlo seriamente. Perciò lo faccio così, come viene, perché questo è l’unico modo “vero” che conosco di esprimermi. La maggior parte delle volte inizio a scrivere senza neanche avere un’idea precisa in testa, la trama (se così sì può chiamare) nasce man mano che le dita corrono sui tasti.
Ok, detto questo…il pensiero del cartaceo mi affascina tantissimo, in questo momento sto solo cercando l’idea giusta per buttare giù qualcosa. La cerco, senza fretta, nel frattempo ascolto musica, leggo e tengo gli occhi aperti sulla vita.
Ti ringrazio davvero tanto, per le tue parole, sono un buon motivo per continuare a buttare giù i miei pensieri. Grazie.
DOLo rosa fotocopia di storie di troppe donne.
Commovente.
sherabientot
Grazie, è una storia nata un po’ così…e mi dispiaceva non farle vedere la luce.
È sempre un piacere averti in questi luoghi. 😊
Grazie a te 😉