Il molo 41.

Paolo cammina leggero nella sua periferia grigia come la cenere dei suoi ricordi, in uno di quei giorni in cui il vento della sua solitudine urla più del solito. Ormai è uno di loro, uno di quelli che guardano i sogni da lontano.

Li scorgi tra la gente e quasi ti spaventi, sono gli immobili tra due ali di folla, guardano oltre gli incroci, oltre i palazzi e non importa quale sia la città, loro vedono il mare, sempre.

Vengono da lì e quelle tempeste se le portano dentro come un rumore sordo tra un battito e un respiro, forse è per questo che sono sempre da qualche parte fuori da qui. Forse è per questo che loro sono quelli che sognano davvero.

Quelli che guardano i sogni da lontano non fanno rumore, forse per questo prendono spintoni, ti vengono incontro e ci passi attraverso, come fossero una nebbia leggera, quella che avvolge e neanche la vedi. Quelli che sognano si siedono al finestrino e in mezzo al cielo ci vedono Fermina e Florentino. Quelli che sognano danno fastidio, come le auto parcheggiate di traverso, sono qualcosa che non ti aspetti, sono John Coltrane che sbaglia l’assolo.

Paolo ha lasciato il suo mare quindici anni fa, lo stesso giorno in cui la vita gli ha strappato Eleonora, così, senza preavviso, come quando guardi un riflesso nel vetro che l’attimo dopo non c’è più. Come quando guardi l’arcobaleno di un sorriso senza sapere che sarà l’ultimo. E’ partito esattamente lo stesso giorno, così, senza preavviso.

E’ partito con l’inutile speranza di dimenticare, ma certi mari non li dimentichi neanche se cambi pianeta, perché si fondono con la tua anima, perché sono troppe le emozioni condivise, troppi i giorni passati sul molo 41 aspettando la sorpresa di un abbraccio che arrivava da dietro, con la sua voce all’orecchio che diceva “Teniamoci stretti che ci salveremo”.

Certi mari ti portano al largo, con il vento di bonaccia e ti guardano pazienti mentre getti le reti. Ti accarezzano la fronte, ti scavano negli occhi e alla fine ti baciano, lasciandoti sul palato un sapore di gelsomino e salmastro.

Certi mari non puoi fare a meno di amarli, quando apri gli occhi al mattino e te li trovi di fianco, li ammiri in silenzio e sono perfetti e tu neanche ti chiedi se ti faranno annegare, perché ne vale la pena di restare a guardarli, vale davvero la pena nuotare con loro.

Questa è Eleonora, è il suo mare al tramonto, è le voci del porto alle sei di mattina, la nebbia che si dirada ad un miglio dalla riva, il sole in faccia mentre punti verso Gorgona. E’ il saluto ai gabbiani mentre tieni il timone. E’ il tuo sogno perfetto che non svanisce all’aurora.

Quelli come lui continuano a nuotare ma certi giorni le braccia fanno male davvero e vorresti solo andare alla deriva. Certi giorni il mare è davvero troppo lontano e non riesci a sentirne l’odore, anche il ricordo inizia a sbiadire e la disperazione ti sbrana i respiri.

Paolo è stanco, oggi è un giorno così, in cui ha in bocca una manciata di sabbia e spine, in cui ha un alveare nella testa che non gli lascia via di scampo. Oggi è il giorno peggiore di tutti, perfettamente devastante. Ha solo bisogno di sentire di nuovo l’acqua salata graffiargli la pelle, di una nuova carezza sul viso. Ha solo bisogno di ritrovare il suo mare e non lasciarlo mai più.

E’ in piedi, affacciato al terrazzo del suo appartamento al quinto piano, guarda davanti a sé, ma non vede i palazzi a mattoni e il cemento che soffoca l’orizzonte. Vede le navi salpare, vede un cielo astratto riflesso su onde di uragani. Quelli come lui non trovano posto in tutto questo mondo, sono troppo fuori tempo, hanno i nervi troppo scoperti, hanno una riserva infinita di dolore. Quelli come lui non chiudono gli occhi, vogliono guardarla in faccia la loro solitudine. Quelli come lui hanno l’esistenza interrotta, come fosse un romanzo lasciato a metà, vivendo gli altri giorni come fossero un inganno della sorte, ripetendo come un mantra “Adesso mi sveglio e tutto è normale”. Ma niente è normale e loro non si sveglieranno mai più.

Paolo allarga le braccia, come faceva quando stava sul molo 41, aspetta la sorpresa di un abbraccio che arriva da dietro, sente all’orecchio la voce di Eleonora che gli dice “Teniamoci stretti che ci salveremo”. Fa un passo oltre il parapetto e raggiunge il suo mare.

“Il mare crea una nostalgia impossibile da debellare. Il mare ti vive dentro” (Stephen Littleword).

Portaci lontano capitano, in acque calme e sicure, abbiamo preso posto vicino al finestrino, fai salpare la tua Downeaster “Alexa”

36 pensieri su “Il molo 41.

  1. E’ un pugno sullo stomaco, un’oppressione allo sterno, un senso di soffocamento in gola. Ma è anche la profonda condivisione del senso del dolore, la consolatoria sensazione di non essere sola a sentire così, a provare il senso di valore unico di ogni persona, a realizzare che ciò che si perde non si potrà mai sostituire ma, al massimo, superare, in attesa che tutto abbia una fine. Grazie Pinocchio, non come sempre ma più di sempre. Hai la capacità innata di saperti immedesimare e , cosa altrettanto importante, di saperlo poi descrivere. Ognuno di noi ha la sua parte oscura, ma fin quando la luce interiore prevale ed illumina il buio, saremo salvi. Un po’ di questa tua luce illumina tutti noi.

    • Oddio, non ho parole. Hai centrato perfettamente il senso del racconto. Questo è uno di quei post che mi rende ansioso, perché non so mai se sarò in grado di esprimere a parole ciò che ho nella testa. E allora resto con il fiato sospeso in attesa di un riscontro. Perciò grazie a te, infinitamente, per esserti sintonizzata con i miei pensieri. Un abbraccio.

  2. Sempre vibrano le tue parole,
    e risuonano nell’animo di chi legge come una melodia mai dimenticata…
    Tutto ciò che era nelle tue intenzioni, è giunto a destinazione.
    Complimenti alla tua capacità di scrivere e descrivere l’animo umano.
    Buona giornata,
    Barbara

  3. Purtroppo non si scappa dal dolore….e quando non si riesce ad accettarlo e a confrontarsi con lui capita questo….troppo spesso direi.
    Ti hanno già detto tutto…..meraviglioso il tuo entrare nelle emozioni e coinvolgere tutti noi.
    Buon inizio settimana.

  4. Morire per volare incontro alla vera vita… splendido racconto, spaventoso per quanto sia vicino al sentire di chi ha perso (o immagina anche per un solo momento di perdere) la persona che ama di più e che da un senso alla sua esistenza. È vero, allontanarsi non serve, ci portiamo dentro l’unica spiaggia cui vorremmo davvero approdare e dove chi abbiamo amato continua a esistere per sempre. Complimenti!

  5. …quindi il mare e i suoi segreti, la sua potenza e i suoi insegnamenti non basteranno per ‘sopravvivere’…? Peccato…ci contavo ‘da morire’…:). Complimenti ‘capitano’, anche questo viaggio è stato molto, molto emozionante;)

    • Ottimo, io trentaquattro anni fa scrivevo ancora la letterina a Babbo Natale, ma lo facevo in rima usando fantasiose metafore. Ma lui non le capiva e, nel dubbio, mi portava sempre il trenino elettrico. Secondo me era in combutta con mio padre, che faceva il ferroviere. (E comunque “mattetupensa” è fiorentino, io sono livornese, boia deh).

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