Carlo che vive di ricordi si ferma un po’ più in là dei suoi pensieri. Saluta con un sorriso e cerca di nasconderlo con tutta quella dolcezza che ha, ma se sei attento lo capisci che qualcosa gli prude in fondo agli occhi.
Parla poco, che forse il suono di tutte quelle sillabe liberate dal respiro non guarirebbero il graffio della vita. E allora tanto vale lasciarle soffocare, tutte quelle frasi inutili come i tramonti trai i palazzi di cemento. Sì, decisamente, meglio non perdere tempo a districare le traiettorie delle frasi non dette, che puoi stare lì a pettinarle quanto vuoi, rimarranno impigliate fra le pieghe della mente.
Carlo lascia sempre una fiamma libera sul davanzale di cucina, che “ti ricordi come ti piaceva la luce vicino alla finestra, dio quanto sognavi guardando al di là di quel vetro, che mi dicevi – in quel giardino, sotto l’ombra di quel salice piangente io ci farei l’amore- e poi sorridevi. Mi guardavi. E sorridevi. Dio com’eri bella, che poi neanche lo sapevi il profumo di pentagrammi e nuvole che avevi, quando stavi scalza sulla sabbia di novembre, con quel vestito leggero, roba da prenderci un accidente senza scampo, ma te ne fregavi, mi tenevi la mano cantando “Bellamore” fra le labbra. E la sera del dodici dicembre, che pioveva come una disperazione, la sera in cui Cassandra perse un amore e un orecchino, dio come pioveva, come se qualcuno avesse deciso di buttare via i rimorsi, tutti insieme dico, tutti quella sera lì, – che quando cade la notte così viene voglia di temersi un po’ più stretti – così dicevi.
E quell’idea assurda di oltrepassare Capo Horn, – che da quelle parti si sta bene, da quelle parti non si muore mai – che quando lo dicevi ci prendevano per pazzi. E lo dicevi spesso. Ma noi lo sapevamo che era vero, che ci andavamo spesso, ogni volta che ci davamo le mani, prendendoci per i polsi, come a sentire il sangue mescolarsi, con lo sguardo fisso a frugarci le passioni. Cercatori d’oro con i diamanti nelle tasche, pelle su pelle al riparo da intemperie e poi tutti gli odori e le passioni nelle vertebre e poi rincorse di abbandoni e poi tutta l’anima del mondo. La nostra rotta per oltrepassare Capo Horn, che da quelle parti non si muore mai.
E poi tutte le mattine, tutte quante, mentre dormivi e ti guardavo seguendo con un dito il profilo dei tuoi sogni e non riesco più a contare le volte in cui mi sono perso in quei respiri. Che non te l’ho mai detto, ma quelle mattine lì mi resteranno addosso. Tutte quante.
E non ci siamo persi, tu lasciali parlare, lasciali venire in processione a stringermi la mano, con gli occhi lucidi e lo sforzo di un sorriso. Non ci fare caso, lascia che vadano ad illudersi, che noi lo sappiamo che va bene così.
Adesso è quasi mezzanotte e sprofondo dentro il letto. Che ho voglia di sognarti, e già lo so che mi guarderai in modo complicato, come un tempo in cinque quarti e mi dirai ridendo – Sono sempre stata qui. – Adesso ho voglia ancora di prenderti la mano mentre canti “Bellamore” fra le labbra.
E anche stasera è quasi mezzanotte ed è ora di andare ad ascoltare “Bellamore”