Il Labyrintho adolescenziale.

La mia generazione è sopravvissuta alla moto senza casco, alla Panda senza airbag, al telefono grigio della Sip. Abbiamo assistito impotenti alla fine di Dallas e Happy Days, siamo usciti indenni dalle canzoni di Nino D’Angelo e dalle tette di Samantha Fox, magari con qualche diottria in meno, ma comunque salvi. “Tra rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per il castello oltre la città di Goblin” , diceva Jennifer Connelly in Labyrinth, ma tutte queste imprese eroiche sono niente in confronto alla prova estrema di relazionarsi con una figlia adolescente.

Capita all’improvviso, la sera le dai il bacio della buonanotte, guardi quel fagottino di ottanta centimetri, le rimbocchi le coperte e la lasci nella sua cameretta rosa confetto in compagnia di Winnie the Pooh e il lampadario di Peppa Pig. La vai a svegliare la mattina e trovi una tizia di un metro e quaranta con lo smalto nero, la stanza è tappezzata con i poster di Fedez, sul comodino il libro di uno youtuber di sedici anni dal titolo “La biografia di un uomo di successo”, Winnie the Pooh è impiccato al soffitto con il cavo del lampadario. In pratica hai dato la buonanotte a Biancaneve e il buongiorno alla sorella di Lady Gaga. Nel dubbio inizi a girare per casa con l’indice della mano destra sovrapposto a quello della sinistra a formare un crocifisso mentre reciti il Padrenostro stringendo un rosario mariano.

Da questo momento dovrai ripartire da zero, tutto ciò che avevi imparato sulla gestione di una figlia è stato spazzato via, proverai la stessa sensazione di smarrimento di quando il Furby cambiava personalità senza un motivo apparente.

Nessuno ti prepara a questo cambiamento repentino, voglio dire, fanno il libretto di istruzione per le televisioni in hd, assolutamente inutile peraltro, anche un bambino saprebbe installarlo, ci sono manuali per il montaggio della scrivania Ikea, anch’essi inutili, neanche un ingegnere astrofisico non riuscirebbe ad utilizzare tutte le viti. Ecco, quando diventi genitore l’ostetrica dovrebbe consegnarti il neonato con le istruzioni.

Se la situazione non fosse già abbastanza complicata ci pensano i social e i programmi tv a renderla drammatica. Il vero carico da undici nella relazione padre – Furby ehm figlia, ce lo mettono i talent musicali. Amici e X Factor su tutti. Ogni anno queste fucine del superfluo ci inondano con folletti saltellanti che si atteggiano a rockstar navigate. Ma non si limitano solo a cantare, essendo “bastardi inside” questi istrionici saltimbanchi fanno di tutto: creano capi d’abbigliamento, oggetti di design, scrivono libri, disegnano quadri improbabili. Ma soprattutto… organizzano i “Firmacopie”.

Per chi non lo sapesse il Firmacopie consiste nello stare in fila all’addiaccio per 48 chilometri per incontrare il “fenomeno” del momento con lo scopo di farsi autografare il suo cd, o libro (ahahah, libro, ahahahah), o qualunque altra cosa abbia creato la mente contorta del suo manager. Durata della fila 28 giorni, durata dell’incontro 13 secondi netti compresi i preliminari.

Il galateo adolescenziale prevede che tu debba stare con il sangue del tuo sangue per tutta la durata della fila, senza sbuffare, senza lamentarti e tenendo in spalla il suo zaino contenente probabilmente un tombino di ghisa a giudicare dal peso. State insieme fino all’ingresso, quando è il vostro turno la tua dolce bambina ti guarda come Ozzy Osburne farebbe con un pipistrello e sentenzia un «Te aspettami all’uscita».

In che senso??? Ho praticamente due ferri da stiro nelle scarpe, una scoliosi deformate e ora non posso entrare? Eh no cazzo, io entro e mi faccio autografare il tombino di ghisa con la fiamma ossidrica

Invece non entri e ti avvicini al recinto dei genitori in attesa. Lo riconosci subito, è uno spazio poco transennato all’interno del quale ci sono esemplari di quarantenni che fumano tenendo in mano lo smartphone, alcuni provano a socializzare fra di loro, altri si scambiano consigli su come domare le paturnie dei propri figli in tempesta ormonale. I più attrezzati si portano dietro anche la frusta e lo sgabello per dare dimostrazioni pratiche. I passanti li guardano compassionevoli, poi scattano foto e le mettono su Instagram con l’hastag #stopanimalialcirco.

Alzi la mano chi non ha mai sbirciato il profilo Facebook o Instagram dei propri figli. Lo facciamo tutti, ci raccontiamo che è nostro dovere controllarli e metterli in guardia dai pericoli, sì, nobili intenzioni, in realtà siamo curiosi come le scimmie e cerchiamo di scoprire qualche “altarino”. Insomma, siamo un po’ giudiziosi e un po’ merde. Forse più merde.

Comunque si fanno scoperte clamorose leggendo i profili social degli adolescenti. Una su tutte: conoscono benissimo l’inglese. Alla loro età noi volevamo la cittadinanza anglosassone se riuscivamo a scrivere correttamente “The cat is on the table”. Loro postano foto con didascalie in un inglese perfetto, comunicano fra di loro in questa lingua universale mentre noi siamo ancora lì a chiederci quando entrerà in vigore l’esperanto.

Ma se li guardiamo bene un po’ ci somigliano, ci criticano, come facevamo noi con i loro nonni e citano strofe dei loro cantanti preferiti, proprio come noi.

Anche i loro gusti cinematografici ricordano un po’ i nostri, parlano con le frasi delle loro pellicole preferite, ieri per esempio mia figlia ha chiuso un nostro dialogo con «… tu non hai alcun potere su di me»- Anche a lei piace Labyrinth,, che tenera eh, la mia bambina, eh?

“Tra rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per il castello oltre la città di Goblin, per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte quanto la tua e il mio regno altrettanto grande… tu non hai alcun potere su di me.” (dal film Labyrinth – Dove tutto è possibile).

 

Tutti insieme senza invito.

Foto post social

Lo avete pagato il canone Rai?, io si, controvoglia, bestemmiando come un turco e all’ultimo minuto dell’ultimo giorno…ma alla fine l’ho fatto.

Il fastidio non era dovuto solo ad una questione economica, che comunque c’è ed è pesante, ma anche per una questione di “utilizzo”. Ho realizzato che potrei benissimo fare a meno della televisione. Ecco, detto in questi termini potrebbe suonare quasi come un pensiero edificante, in realtà non è proprio così. La realtà è che abbiamo a disposizione dei validi surrogati del televisore, anzi, questo elettrodomestico, in se per se, sta diventando un ripiego bello e buono. Il mondo per fortuna (o per disgrazia, ma personalmente propendo per la prima) si è evoluto e internet è stato la nitroglicerina di questa propulsione. Tutto ciò che desideriamo lo troviamo in rete: serie tv, partite di calcio, film, eventi ecc. Praticamente negli ultimi tempi uso la tv solo come strumento necessario per avvincenti sfide alla playstation.

La questione assume contorni leggermente più pesanti se pensiamo che con l’avvento della tecnologia non siamo più soli.

I nostri amici di facebook, i followers di twitter, i contatti di Instagram, Pinterest e via dicendo ci seguono ovunque. Vengono sempre con noi anche se usciamo a fare una passeggiata. Anche quando siamo con la nostra dolce metà. Anche se non hanno l’invito.

Siamo tutti un po’ dipendenti da tablet e smartphone, cambia però il livello di “intossicazione”. Tecnicamente sono strumenti catalogati come “droghe leggere”, ma la linea di visione con quelle “pesanti” è più sottile di quanto si possa credere. Rimanerne irremediabilmente affascinati è molto semplice. Di solito i più contagiati siamo noi uomini. Ci sono quelli che usano queste tecnologie in modo assiduo, ma entro certi limiti, sono quelli che hanno mantenuto il senso della misura e riescono ancora a preferire un sorriso vero da un “like” virtuale. Poi ci sono gli “smanettatori seriali compulsivi”, che controllano il telefono ogni tre secondi netti, rispondono ai post degli amici, twittano su qualsiasi argomento, dalle leggi che regolano l’universo alle emorroidi del cane Dudù.

Per cercare di farci uscire dal tunnel, le nostre compagne posso tentare un approccio soft. Ad esempio cercare di organizzare un programma insieme, un’uscita, una serata interessante, sforzarsi di trovare qualcosa di alternativo e stimolante. Si, anche quello che pensate voi potrebbe essere un’alternativa valida. Certo, concedeteci un po’ di metadone, chessò, lasciateci almeno di controllare la posta elettronica ogni trentacinque minuti. Secondo me una terapia d’urto particolarmente aggressiva non è consigliabile. Noi uomini con il telefonino in mano siamo come i bambini con i giocattoli, Se ci obbligate a farne a meno ogni vostra distrazione sarà sfruttata per dare una sbirciata fugace a quel mattoncino senza tasti, saremo distratti e con l’orecchio teso a captare qualunque suono che assomigli anche lontanamente ad una notifica. Anche il “din” del timer del microonde ci farà sobbalzare dalla sedia.
Ma voi donne avete il sacrosanto diritto di richiedere attenzioni, perciò incazzatevi pure, anzi, se proprio non riusciamo a distogliere lo sguardo dalla nostra bacheca facebook siete autorizzate a battere i pugni sul tavolo, strapparci il telefono di mano e saltarci addosso violentandoci. Ah, vi avviso, è inutile cercare di ingelosirci parlando bene dell’idraulico. Se la wi fi funziona non vi sentiremo neppure. Anche porre aut aut tipo: o ruzzle o io, non è consigliabile, specialmente se siamo nel bel mezzo della manche decisiva.

La cosa che vi chiedo, (e che vi chiede tutto il genere maschile) è quella di dare il buon esempio. Vale ancora il principio del bambino (quarantenne). Fate bene a sgridarci se stiamo sempre a giocare con i soldatini, ma voi evitate di pettinare la Barbie non appena avete un attimo di pausa. In altre parole: dimostratevi migliori di noi, rimandate lo scambio di messaggi con la vostra amica d’infanzia a quando saremo usciti di casa, insegnateci la grande arte di resistere alle tentazioni, che vi assicuro abbiamo un gran bisogno di impararla.

Quando siamo immersi in questo universo ovattato il tempo si dilata, così la pausa pranzo si protrae fino all’ora di cena, arriviamo a casa stravolti e con gli occhi iniettati di sangue, millantiamo problemi di lavoro in realtà ci girano le balle perchè a metà pomeriggio la batteria ci ha abbandonato e non avevamo il cavetto da collegare all’accendisigari dell’auto. Avete mai notato qualche macchina parcheggiata davanti ad una banca con il motore acceso?, ecco, non allarmatevi, non c’è nessuna rapina in corso, è semplicemente un povero disgraziato che sta ricaricando il telefonino. Con mezzo serbatoio ti assicuri il 20% di autonomia….mica male.

Secondo me varrebbe la pena di alzare gli occhi da uno schermo di quattro pollici, perché magari di fronte a noi c’è una femmina di quattro miliardi di pixel in carne e ossa e pure in hd che non aspetta altro di essere digitata. E forse capiremo che quello di twitter non è l’unico volatile con il quale poter interagire.

Il rosario delle pheeghe.

Pheega 2

Ieri navigavo senza mèta nel web. Oh, cos’è questo coro di “seeeeeee”?!?!?. Ok, lo confesso, stavo cercando gli scatti selfie di Martina Colombari (ma dopo mi son pentito e ho fatto l’abbonamento a Famiglia Cristiana), ok, dicevo, mentre ero lì, ho realizzato che sto iniziando ad avere difficoltà a relazionarmi con le altre persone. Ora non saprei dire se a scatenare questi pensieri profondi siano state le tette della Colombari o il fatto che la mia connessione ci mettesse un secolo a caricarle, ma gli eventi sono lì a dimostrare la mia tesi.

Da quando sono diventato un essere “tecnologicamente avanzato”, le mie interazioni con il mondo esterno sono fatte prevalentemente di “mi piace”, emoticon di whatsapp o al massimo commenti insulsi su argomenti di pubblico interesse. L’uso della parola orale sta diminuendo a vista d’occhio e di conseguenza anche il modo di rapportarmi alle persone in carne e ossa diventa più faticoso.
Il problema di fondo è che nella maggior parte dei casi mi trovo a parlare con gente che io chiamo “veggenti”, cioè riescono a sapere cose sul mio conto prima ancora che gliele dica io. Precisiamo, non sono il tipo che mette proprio tutti gli affaracci sui su facebook, si, insomma, ci scrivo qualche cavolata cercando di fare il brillante, evito per esempio di pubblicare cose tipo “ho un callo sotto i piedi” oppure “oggi piove, governo ladro”, provo in qualche modo a mantenere un minimo alone di mistero. Con scarsissimi risultati a quanto pare.  Non mi preoccupo, per esempio, di togliere l’opzione “localizzazione”, così quando incontro qualche amico “feisbucchiano” fuori dal recinto dell’etere, la prima cosa che mi dice è “o cosa ci facevi l’altra sera alla trattoria di Alvato lo zozzone?”. Già, che ci facevo…forse il ragazzo immagine?

Praticamente mi viene a mancare “l’effetto sorpresa” che è da sempre uno dei miei cavalli di battaglia. E rimango così, senza parole, oppure con argomenti già inflazionati dalla rete. Qualunque cosa esca dalla mia bocca, la risposta è sempre la stessa “ah si si, lo so, l’ho letto su facebook”. Ok, allora di cosa ti parlo? Provo con l’argomento a piacere?

La verità è che forse ci stiamo abituando a comunicare solo attraverso i tasti, stiamo un po’ perdendo il dono della parola, che per qualcuno non sarebbe neanche un male.

Sei lì, dal tuo parrucchiere di fiducia, il mio per esempio è un coiffeur per signore, e non sai che dire. Cavolo, una volta il parrucchiere/barbiere sapeva più peccati del parroco del paese, insomma, i giornalisti di novella 2000 andavano da lui per avere nuovi gossip, non ti giudicava, ascoltava i tuoi peccati e non ti dava la penitenza, te la cavavi con uno shampoo alla camomilla e il dopobarba Aqua Velva, che ti sembrava di mettere il viso nel forno a microonde da quanto ti bruciava e dopo ti venivano due gote rosse come il babbuino della Guinea durante la stagione degli amori. Non a caso il serial killer Gary Ridgway la usava come antisettico per coprire l’odore delle vittime. Per dire.
Se prima era una specie di barbiere di Siviglia, adesso sembra uno sciampista di Orbetello: niente confessioni, niente sputtanamenti di coppie fedigrafe, niente di niente, solo una carrellata di teste fonate, mesciate, rasate, tutte rigorosamente mute e chine. Si chine sullo smartphone. Sembra di stare alla messa del 2 novembre in una chiesina dell’entroterra siciliano, tutte queste comari col capo basso, solo che invece di snocciolare il rosario, scandagliano la lista degli amici per taggarli nella foto postata con il nuovo taglio di capelli sulla bacheca. Così, prima che il solerte parrucchiere abbia finito la messa in piega, loro hanno già collezionato 127 mi piace e 34 commenti, tutti uguali: “wow sei pheega” (che questo nuovo slang mi sta contagiando e per essere alla moda inizio a scrivere phorno, phagioli e phiglio…anzi, grandissimo phiglio…). Se vi capita di passare di fronte ad un parrucchiere e vedere il negozio vuoto, state tranquilli, probabilmente è bravissimo a fare il suo lavoro, semplicemente gli manca il wi-fi.

Secondo me il problema non è da sottovalutare, almeno nel mio caso, sono arrivato al punto che preferisco trovarmi in sala d’attesa con sconosciuti piuttosto che con conoscenti per non avere l’obbligo di interagire con loro, oppure di fingere improvvise telefonate quando incontro il mio vicino al cassonetto della differenziata. In certi momenti non solo non so cosa dire, ma addirittura non riesco ad articolare le parole, figuriamoci pronunciare una frase di senso compiuto. Domenica scorsa ero a pranzo dai miei genitori, ad un certo punto il cellulare di mio padre vibra “uffa, chi è che rompe i cogl…ehm le scatole mentre si mangia?”…Ero io, gli avevo mandato un messaggio  “mi passi il sale?”

Uscire di casa sta diventanto una sfida tra le più difficili, leggendo un forum che visito spesso per copiare prendere ispirazione, ho scoperto che ci sono persone che escono di casa e incontrano altre persone. Si guardano senza i filtri di instagram, sorridono senza emoticon, parlano senza digitare e si toccano pure. Ma secondo me è una leggenda metropolitana, come il coccodrillo nelle fogne.