I BAMBINI VINCONO SEMPRE

Alcuni giorni fa mi sono ritrovato a parlare con un amico, padre di un bambino di quattro anni, sui vantaggi e le controindicazioni di far vincere i bambini quando giocano con gli adulti.

Ho realizzato che questo è un tema spinoso e può portare a conseguenze disastrose. Se lasci vincere deliberatamente un bambino rischi di farlo diventare un egocentrico, uno di quegli adulti boriosi, con manie di onnipotenza, convinti di essere sempre dalla parte del giusto, che spesso risultano insopportabili e grotteschi. Il padre di Salvini pare che lasciasse sempre vincere il piccolo Matteo a rubamazzo, per dire.

Dall’altra parte c’è il gruppo dei genitori incorruttibili, quelli che competono con i propri figli come Nadal alla finale di Wimbledon. Sposano la teoria che i bambini devono capire fin da subito come gira la giostra della vita, che nessuno ti lascerà primeggiare e che dovranno imparare subito a guadagnarsi il successo. Magari poi i figli diventeranno degli insicuri frustrati e voteranno a sinistra, ma questa è un’altra storia.

La verità è che ai bambini non gliene frega niente di vincere o perdere, a loro interessa solo partecipare. E poi, diciamocelo, i bambini vincono sempre.

I bambini vincono sempre perché sono degli inguaribili ottimisti, non importa se mezzo pieno o mezzo vuoto, l’importante è che ci sia un bicchiere.
I bambini vincono sempre perché si alleano fra di loro, si inventano le regole, se la cantano e se la suonano. vincono sempre perché sanno stare insieme.
I bambini vincono sempre perché…”il pallone è mio, ma se giochiamo in due è più divertente”
I bambini vincono sempre perché vedono i colori ma sono daltonici nei pregiudizi, perché fanno le squadre a seconda del colore della maglia e non della pelle.
I bambini vincono sempre perché anche se una battuta fa cagare loro ridono, non la capiscono ma ridono, perché hanno voglia di partecipare.
I bambini vincono sempre perché hanno ancora il senso della giustizia, perché se qualcuno fa un torto a un mio amico lo fa anche a me. Vincono sempre perché sono felici se qualcuno è felice e se provi a spiegare loro il concetta di ipocrisia ti guardano come Toninelli guarda una divisione a due cifre.

I bambini vincono sempre perché le regole del loro mondo le scelgono insieme, non hanno bisogno di scegliere qualcuno che decida per loro.
I bambini vincono sempre perché gli sbagli che fanno li rendono migliori.

I bambini vincono sempre perché si sforzano di ricordare, tutto, le gioie e i dolori. Perché è difficilissimo evitare di commettere gli stessi errori, ma se conserviamo un po’ di memoria, forse, ci salveremo. Eventualmente chiediamo ai bambini, che loro, in qualche modo, vincono sempre.

Tra dieci pagine smetto di fumare.

Lo confesso: io fumo. Eh lo so, non ne vado fiero, ma non iniziate subito a fare quella faccia, perché diciamolo, come tutti i fumatori…ho delle attenuanti.

Non bevo alcolici, ma niente proprio, spumante, birra, Campari Aperol…niente di niente, il vino poi mi fa schifo proprio. Roba che se durante un pranzo o una cena con amici o parenti cade una goccia sul tavolo cambio posto, spesso cambio anche il tavolo, in rare occasioni anche continente. Già con la cedrata Tassoni ho dei lievi giramenti di testa. Per dire. Sono quello che invitano sempre alle feste perché almeno riporta la gente a casa. Da ragazzo ero quello che suonava la chitarra davanti al falò mentre tutti gli altri si baciavano. In sostanza ho un karma demmerda.

Non gioco d’azzardo, niente slot machine, scommesse online, niente gratta e vinci, a Capodanno non gioco neanche a tombola. E ovviamente niente giochi di carte con i soldi. Non ho mai giocato a poker in vita mia, non conosco neanche le regole, anzi, non riesco neanche a tenere tutte quelle carte con una sola mano. Sì ok, qualche briscola e tressette in famiglia, ma niente di più. E non lo faccio perché sono tirchio, anzi, solo che proprio non mi appassionano le scommesse, non subisco il fascino dell’adrenalina da rischio. E poi le rarissime volte che ho giocato a qualcosa con in palio vincite in denaro….ho sempre perso. Il calcio balilla, per esempio, lo adoro, ho anche giocato a livelli discreti, vincendo anche tornei importanti, ma sempre con premi simbolici, tipo medaglie, coppe, o roba simile. Ecco, se volete sfidarmi a calcio balilla con la certezza di vincere a mani basse basta dirmi “dai, chi perde paga”. Improvvisamente divento lobotomizzato e non beccherò più una palla neanche per sbaglio. Comprese le mie.

Non faccio uso di droghe, ma da sempre eh, non ho mai avuto la curiosità di provare a stordirmi in qualche modo. Lo sono già abbastanza di mio. Niente acidi, coca, canne, pastiglie varie. Quando prendo il Brufen lo faccio di nascosto, sembro uno spacciatore ai giardini della stazione. Ho il terrore di perdere il controllo, di fare o dire cose inopportune, ok, quello lo faccio anche da sobrio, ma è un altro discorso. In poche parole, se faccio una cazzata voglio farla consapevolmente, senza la paraventata dello sballo, per intenderci. Però lo ammetto, se la cazzata è particolarmente grossa uso la tecnica dell’opossum: mi fingo morto.

Ora capite cosa voglio dire? Osservato da questa angolazione il vizio del fumo diventa già più accettabile. Cioè, avrei potuto essere molto peggio di così. Sì lo so, è un po’ come quando a evadi mille euro di tasse e ti giustifichi dicendo; ma…ma…allora quelli che evadono milioni?. In altre parole cerchi sempre quello un po’ più figlio di puttana di te. Lo so, lo so, fumare fa male, ma…sono stressato, ecco, sì, è lo stress che mi fa fumare. Anzi no, fumo perché…perché una sigaretta ogni tanto me la merito dai. Magari ho avuto una giornata di merda, arrivo a casa la sera e una sigaretta sul terrazzo dopo cena ci sta da dio. Anzi, in quel momento Dio sono io, No no, fumo perché sono un insicuro, è colpa di quella grandissima stronza dell’autostima. Fumo per darmi delle arie, quelli come sono sono cresciuti con i film americani dove il protagonista è ombroso, poco loquace e maledettamente affascinante con quella sigaretta in bocca. A pensarci…fumo perché sono timido, mi imbarazzo con niente, è un’equazione perfetta: mi fanno un complimento, mi imbarazzo e fumo. Sì ok, detta così sembra che voglia essere trattato di merda. No, non fatelo, che poi mi sento in difficoltà…e fumo. Il caffè, ecco, è colpa del caffè. Dai lo sanno tutti, caffè e sigaretta è un binomio perfetto, tipo Cochi e Renato, cantiere e umarell, Salvini e michiate.

La verità…la verità è non ho la volontà di smettere, fumo poco ma non voglio smettere e allora me la canto e ma la suono, però…in fondo…molto in fondo…vorrei farlo. Ogni tanto ci penso, anzi ultmamente ci penso un po’ più spesso a questa cosa di smettere, ecco, diciamo…che ci sto lavorando, magari in nero, ma ci lavoro.
Un po’ di tempo fa mi regalarono un libro, si intitola “E’ facile smettere di fumare. Se sai come fare” (e grazie al cazzo. Ndr). Un librettino di un centinaio di pagine o giù di lì che ti accompagna nelle intercapedini della mente. Non è il solito libro che dice “fumare fa male, spendi soldi per avvelenarti, pensa ai tuoi figli….” E stronzate varie. No, è un manuale che lavora sugli schemi mentali, considerate che la prima cosa che dice è che non devi smettere di fumare finché non finisci di leggere il libro. E lo ripete spesso, quasi come una minaccia. Lo sto leggendo attentamente, con la giusta concentrazione, ve lo consiglio, funziona davvero. E ricordate…”non smettere di fumare finché non finisci il libro”. Io ci sono quasi, ancora un piccolo sforzo e mi libererò per sempre dal demone del fumo. Ci sono, ormai mi mancano solo dieci pagine…da dodici anni.

UN BAZOOKA DENTRO CASA

Diciamoci la verità: i ragazzini di oggi sanno molte più cose di noi. E ne sono consapevoli.

Finché sono piccoli riesci a tenere loro testa, oddio, nemmeno più di tanto, ma diciamo, ti illudi di farcela, o almeno, te lo lasciano credere.
Poi intorno ai cinque/sei anni iniziano a farti domande precise. Alcuni anche prima, e non si accontentano di risposte generiche, col cazzo, loro pretendono di essere convinti. Noi alla loro età credevamo a tutto ciò che ci veniva detto, lo prendevamo per buono e basta, probabilmente credevamo ancora nell’onesta del genere umano. I bambini di oggi no, quelli dubitano, chiedono spiegazioni, dettagli, non li freghi con risposte di merda tipo “sei piccolo non puoi capire”, neanche per sogno, i bambini di oggi ti inchiodano alla sedia e non ti rilasciano finché non paghi il riscatto con spiegazioni scientifiche.

Tutti noi abbiamo creduto a Babbo Natale, dai, chi non l’ha fatto?, tutti, l’abbiamo fatto ed era bello, ci lasciavamo trasportare da quella magica sensazione di stupore, ci immaginavamo questo omone vestito di rosso che passa dal camino a portarci i regali, fantastico, una meraviglia proprio. E ci credevamo con tutte le cellule del nostro corpo, eravamo convinti ed estasiati proprio, come Salvini sulla spiaggia del Papeete, per capirci. E cercavamo di prolungare quella sensazione il più a lungo possibile. Mi ricordo che alla fine della seconda media mio padre mi prese da una parte dicendomi “senti bimbo, ormai sei grande, devo dirtelo…(sospiro)…Babbo Natale sono io. Sono io che ti metto i regali sotto l’albero la notte della vigilia…(sospiro)…mi dispiace, ma era giusto che lo sapessi”. Una notizia sconvolgente, mi mancava il fiato. Sono arrivato fino alla seconda liceo vantandomi che il mio padre era Babbo Natale, proprio lui, quello vero.

Prova a dirlo a un ragazzino di sei anni che Babbo Natale esiste davvero. Quello inizia intanto a farti domande sulle renne, che tu non hai la più pallida idea di che razza di animali siano di preciso. Sì ok, assomigliano a un cervo, ma hanno le corna più grandi, tipo i fidanzati di Belen. Sono a pelo lungo? A pelo corto?, mangiano erba? Quanto sono alte? E insiste il ragazzino, anzi, se vede che barcolli…infierisce. Ma come fanno a volare? Dai, spiegami come fanno. E tu arranchi, farfugli…

”hanno le ali”. E lui, il ragazzino di sei anni intraprendente che , diciamocelo, inizia a essere un filo antipatico, prende il suo tablet, te lo sbatte in faccia dicendoti:

“Ali?, quali ali? Guarda, Google dice che le renne non hanno le ali. Quindi? Come fanno a volare? Eh? Dai, come fanno?”.

Tu sudi, hai un capogiro…bonfonchi un “hanno una polvere magica”… E il ragazzino ti guarda agonizzante, poi come un cacciatore spietato mette le cartucce nel bazooka e spara:

“Ok, ammettiamo che riescano a volare, ma non è così, comunque, prendiamo per buono che volino, mi spieghi come fa Babbo Natale a fare il giro del mondo, di tutto il mondo e andare dai bambini, sempre di tutto il mondo, in un solo giorno? Anzi, per esattezza, in otto ore al massimo, visto che di giorno siamo svegli e si vedrebbe?”.

Tu, ormai vinto, agonizzante e con la salivazione azzerata chiami a te quel nano dispettoso, prendi il suo viso tra le mani e usi il tuo ultimo respiro di dignità per dirgli con un filo di voce
“Figlio mio….quest’anno Babbo Natale deve pagare la rata del mutuo, quindi vaffanculo te, le renne e tutta la Lapponia”.

Per non parlare poi delle domande sul sesso. Tutti i genitori temono quel momento, l’attimo esatto in cui lo gnomo con l’ascia chiede:
“mi dici come nascono i bambini?”. Ecco, in quel momento rimpiangi enormemente le domande sulle renne. Ok, respiri,
“allora…ci sono le cicog…no, niente, lasciamo perdere gli animali che non sono il mio campo”, riprovi…
”allora…c’è il fiore, no? E ci sono le api”, lui ti guarda perplesso dicendoti
“sì, ok, le api fanno il miele, l’ho letto su wikipedia, ma che c’entra?”, ok, non è il momento di tergiversare, devi andare dritto al punto, dai, ce la puoi fare, semplice, diretto, efficace, tipo un cazzotto nei denti. Dai, falla breve, diglielo e basta, su.
«Allora…c’erano Adamo ed Eva, no?…”. Alla fine quel metro e dieci di cinismo e arroganza che da sei anni gira per casa tua ti fa sedere, si mette amabilmente di fronte a te e con tutta la comprensione del mondo ti dice:
“ok, ho capito, parliamo di sesso. Dimmi cosa vuoi sapere”. Così ti dice, lui a te!

Insomma, tocca impegnarsi di più, dobbiamo prendere coscienza che i tempi sono cambiati e i ragazzini di oggi sono cento volte più svegli di noi alla loro età. Non sottovalutiamoli, i ragazzini di oggi sognano, come facevamo noi, ma non sono ingenui, hanno fame di risposte, noi avevamo fame…e basta. Loro si informano, cercano, prendono appunti, registrano tutto nel loro hard disk mentale. Quando vedi un bambino di sei anni seduto a tavola tranquillo non si sta rilassando, neanche per sogno, sta facendo il backup dei dati e aggiorna l’antivirus interno. Pensiamoci, ogni volta che facciamo la scelta più comoda, quella di prendere l’ipad e darlo ai nostri figli dicendo “tieni, almeno per un’ora non mi rompi i coglioni”, pensiamoci, gli stiamo dando in mano il mondo intero, con le sue meraviglie e le sue schifezze, ma soprattutto, gli stiamo offrendo l’occasione per farci un’infinità di nuove domande a cui noi non sapremo mai rispondere, nuove cartucce per i loro maledetti bazooka. In altre parole, quando diamo un tablet a un bambino di sei anni, in realtà, ci stiamo tagliando i coglioni da soli.

Il finale di un monologo del grande Mattia Torre racchiude tutto l’universo del rapporto fra adulti e bambini. Le parole più o meno sono queste:

  • Tutti i genitori prima o poi vanno in crisi e ognuno vive la crisi a modo proprio. Ma tutti i genitori però, tutti, sono accomunati da una cosa: la strana e insindacabile libertà di usare una certa violenza quando si pulisce con un fazzoletto la bocca di un bambino. Dopo due passate, la successiva è sempre ingiustificatamente forte, violenta. Alla terza passata sulla bocca del bambino, tutti tirano fuori una certa rabbia, come a dire tacitamente : “Bambino, mi stai sul cazzo”. – (Figli- Mattia Torre).

Il Labyrintho adolescenziale.

La mia generazione è sopravvissuta alla moto senza casco, alla Panda senza airbag, al telefono grigio della Sip. Abbiamo assistito impotenti alla fine di Dallas e Happy Days, siamo usciti indenni dalle canzoni di Nino D’Angelo e dalle tette di Samantha Fox, magari con qualche diottria in meno, ma comunque salvi. “Tra rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per il castello oltre la città di Goblin” , diceva Jennifer Connelly in Labyrinth, ma tutte queste imprese eroiche sono niente in confronto alla prova estrema di relazionarsi con una figlia adolescente.

Capita all’improvviso, la sera le dai il bacio della buonanotte, guardi quel fagottino di ottanta centimetri, le rimbocchi le coperte e la lasci nella sua cameretta rosa confetto in compagnia di Winnie the Pooh e il lampadario di Peppa Pig. La vai a svegliare la mattina e trovi una tizia di un metro e quaranta con lo smalto nero, la stanza è tappezzata con i poster di Fedez, sul comodino il libro di uno youtuber di sedici anni dal titolo “La biografia di un uomo di successo”, Winnie the Pooh è impiccato al soffitto con il cavo del lampadario. In pratica hai dato la buonanotte a Biancaneve e il buongiorno alla sorella di Lady Gaga. Nel dubbio inizi a girare per casa con l’indice della mano destra sovrapposto a quello della sinistra a formare un crocifisso mentre reciti il Padrenostro stringendo un rosario mariano.

Da questo momento dovrai ripartire da zero, tutto ciò che avevi imparato sulla gestione di una figlia è stato spazzato via, proverai la stessa sensazione di smarrimento di quando il Furby cambiava personalità senza un motivo apparente.

Nessuno ti prepara a questo cambiamento repentino, voglio dire, fanno il libretto di istruzione per le televisioni in hd, assolutamente inutile peraltro, anche un bambino saprebbe installarlo, ci sono manuali per il montaggio della scrivania Ikea, anch’essi inutili, neanche un ingegnere astrofisico non riuscirebbe ad utilizzare tutte le viti. Ecco, quando diventi genitore l’ostetrica dovrebbe consegnarti il neonato con le istruzioni.

Se la situazione non fosse già abbastanza complicata ci pensano i social e i programmi tv a renderla drammatica. Il vero carico da undici nella relazione padre – Furby ehm figlia, ce lo mettono i talent musicali. Amici e X Factor su tutti. Ogni anno queste fucine del superfluo ci inondano con folletti saltellanti che si atteggiano a rockstar navigate. Ma non si limitano solo a cantare, essendo “bastardi inside” questi istrionici saltimbanchi fanno di tutto: creano capi d’abbigliamento, oggetti di design, scrivono libri, disegnano quadri improbabili. Ma soprattutto… organizzano i “Firmacopie”.

Per chi non lo sapesse il Firmacopie consiste nello stare in fila all’addiaccio per 48 chilometri per incontrare il “fenomeno” del momento con lo scopo di farsi autografare il suo cd, o libro (ahahah, libro, ahahahah), o qualunque altra cosa abbia creato la mente contorta del suo manager. Durata della fila 28 giorni, durata dell’incontro 13 secondi netti compresi i preliminari.

Il galateo adolescenziale prevede che tu debba stare con il sangue del tuo sangue per tutta la durata della fila, senza sbuffare, senza lamentarti e tenendo in spalla il suo zaino contenente probabilmente un tombino di ghisa a giudicare dal peso. State insieme fino all’ingresso, quando è il vostro turno la tua dolce bambina ti guarda come Ozzy Osburne farebbe con un pipistrello e sentenzia un «Te aspettami all’uscita».

In che senso??? Ho praticamente due ferri da stiro nelle scarpe, una scoliosi deformate e ora non posso entrare? Eh no cazzo, io entro e mi faccio autografare il tombino di ghisa con la fiamma ossidrica

Invece non entri e ti avvicini al recinto dei genitori in attesa. Lo riconosci subito, è uno spazio poco transennato all’interno del quale ci sono esemplari di quarantenni che fumano tenendo in mano lo smartphone, alcuni provano a socializzare fra di loro, altri si scambiano consigli su come domare le paturnie dei propri figli in tempesta ormonale. I più attrezzati si portano dietro anche la frusta e lo sgabello per dare dimostrazioni pratiche. I passanti li guardano compassionevoli, poi scattano foto e le mettono su Instagram con l’hastag #stopanimalialcirco.

Alzi la mano chi non ha mai sbirciato il profilo Facebook o Instagram dei propri figli. Lo facciamo tutti, ci raccontiamo che è nostro dovere controllarli e metterli in guardia dai pericoli, sì, nobili intenzioni, in realtà siamo curiosi come le scimmie e cerchiamo di scoprire qualche “altarino”. Insomma, siamo un po’ giudiziosi e un po’ merde. Forse più merde.

Comunque si fanno scoperte clamorose leggendo i profili social degli adolescenti. Una su tutte: conoscono benissimo l’inglese. Alla loro età noi volevamo la cittadinanza anglosassone se riuscivamo a scrivere correttamente “The cat is on the table”. Loro postano foto con didascalie in un inglese perfetto, comunicano fra di loro in questa lingua universale mentre noi siamo ancora lì a chiederci quando entrerà in vigore l’esperanto.

Ma se li guardiamo bene un po’ ci somigliano, ci criticano, come facevamo noi con i loro nonni e citano strofe dei loro cantanti preferiti, proprio come noi.

Anche i loro gusti cinematografici ricordano un po’ i nostri, parlano con le frasi delle loro pellicole preferite, ieri per esempio mia figlia ha chiuso un nostro dialogo con «… tu non hai alcun potere su di me»- Anche a lei piace Labyrinth,, che tenera eh, la mia bambina, eh?

“Tra rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per il castello oltre la città di Goblin, per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte quanto la tua e il mio regno altrettanto grande… tu non hai alcun potere su di me.” (dal film Labyrinth – Dove tutto è possibile).

 

Il nostro George non beve caffè.

padri-e-figli

 

I padri di oggi si vestono alla moda, son ragazzi cresciuti, con la barba strategicamente incolta, spingono passeggini variopinti e raccolgono migliaia di volte ciucci, scarpine, sonagli, pupazzi, cuscini e lattine di birra.

I padri di oggi fanno la gara delle tabelline e ci tengono a fare bella figura, ma su quelle del sette ogni tanto si perdono, ripassano i fiumi, gli egizi, i sumeri, il trapassato remoto e si sforzano di non ridere quando arrivano a Pipino il breve.

I padri di oggi conoscono la differenza fra bollitore e biberon, sono assaggiatori di minestrine, fanno l’aereoplanino con il cucchiaio simulando atterraggi di emergenza in bocche spalancate e vorrebbero intitolare una piazza all’inventore del bavaglino.

I padri di oggi tamburellano sulla schiena dopo la poppata, come fosse un djembe, tenendo il tempo come se stessero ascoltando Pour Some Sugar On Me dei Def Leppard e il ruttino entra perfettamente sulla rullata finale.

I padri di oggi spingono altalene e tornano a volare, sentono nuovamente il vento sulla faccia e lo stomaco che sale aspettando una spinta più forte.

I padri di oggi accompagnano i figli a scuola, sono sempre in ritardo, camminano veloci portando in spalla uno zaino niente male, imprecano, sbuffano, lasciano un bacio sulla guancia, si trattengono un attimo rubando un ultimo sguardo, tornano a casa fischiettando, chiudono il portone, si guardano allo specchio. Alcuni di loro hanno ancora lo zaino sulla spalla.

I padri di oggi si improvvisano ingegneri edili e fabbricano castelli di sabbia, spalmano creme protezione 50, fanno la spola ombrellone – bagnasciuga con un secchiello in mano, e si rivedono su una spiaggia che sembra ieri, certe volte sono ancora dei bambini con i braccioli.

I padri di oggi registrano la partita di champions per non perdersi l’esame di karate, sono agitati, incrociano le dita e trattengono il fiato sull’ultimo kata.

I padri di oggi non sono nostalgici, sono certi che i momenti migliori li stanno vivendo adesso, certo però che se vogliamo parlare di musica, non c’è scozzo.

I padri di oggi passano le notti facendo “le vasche” nel corridoio cantando Pippi Calzelunghe, con lo sguardo sognante, lo sbadiglio incessante e qualche strofa più bassa di un mezzo tono, ma sono sicuri che l’ascoltatore che stanno cullando non ci farà caso.

I padri di oggi scattano le pose con lo smatphone, ma non le condividono con nessuno, magari le usano come immagine per lo sfondo.

I padri di oggi sanno a memoria i palinsesti di Disney Channel, Boing, Super, Cartonito e il George che conosco loro non fa la publicità del caffè, ma gioca con Rebecca, Richard e Nonno Pig.

I padri di oggi sanno cambiare un pannolino con la stessa velocità dei meccanici ai box Ferrari con un treno di gomme. Spesso con risultati migliori e si stupiscono se qualcuno fa loro i complimenti.

I padri di oggi hanno il seggiolino in auto, le salviette sul cruscotto e guidano sbirciando i sedili posteriori dallo specchietto.

I padri di oggi ci stanno provando, ce la mettono tutta, nascondono le prove, odorano di bagnoschiuma, Armani uomo e latte cagliato. Spesso si sentono smarriti ed incapaci, combinano casini e alla fine chiedono aiuto.

I padri di oggi sono rilassati, per fortuna hanno sposato madri stupende.

“Non è difficile diventar padre; essere un padre, questo è difficile.”
Wilhelm Busch.

Un ringraziamento particolare a Ve lo dico in un orecchio per l’ispirazione. È sempre un piacere chiacchierare con lei.

Fate l’amore, non fate i Furby.

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Non è solo la fretta ad essere cattiva consigliera, lo è anche la paura.

Da qualche tempo la principessina di casa manifestava richieste di “fratellanza” e non in senso cristiano del termine. Aveva fatto capire a chiare lettere che le sarebbe piaciuto abbandonare il suo status di figlia unica per potersi prendere cura di un nuovo cucciolo. Stavolta umano.

Le tecniche per cercare di convincerla a desistere sono state molteplici, ma vane, lei minacciava ripetutamente di “chiederlo a Babbo Natale”, come fece a suo tempo per Cicciobello pipì popò.
Trovandomi in piena crisi di panico, anche perchè Babbo natale notoriamente non si fa mai i cavoli suoi, ho sfoderato tutte le mie doti diplomatiche, degne un console americano nella striscia di Gaza. “Guarda che poi di notte si sveglia e piange”, “userà tutti i tuoi giocattoli, facendoli a pezzi peggio del mostro di Firenze”, “la mamma non avrà più tempo per te perchè dovrà prendersi cura di lei” (perchè nel frattempo aveva anche deciso che doveva essere una sorellina).

Alla fine la tattica ha dato i suoi frutti: “ok babbo, niente sorellina, voglio il Furby!!!”

“Ottimo, mi pare un giusto compromesso”, pensava il povero uomo illuso.

Passato il terrore di un nuovo periglioso cammino fatto di pappette e pannolini, adesso vivo con l’ansia dell’urto accidentale.
Entrare in casa, stravaccarsi sul divano, dare un colpo con il gomito ad un sacchettino di pulci azzurro di Prussia, sentire una voce aliena che dice frasi sconnesse come l’onorevole Razzi quando parla della patrimoniale e leggere lo sgomento sul viso di mia moglie…è un tutt’uno!
Già, perchè questo stronzetto di robottino è estremamente subdolo, lui non dorme! MAI!!!, lui sonnecchia, come gli operai dello stabilimento Solvay durante il turno di notte. Basta un minimo rumore, tipo il cane che scodinzola e lui si riattiva (come i bambini), dovrai insegnargli a non fare i rutti a tavola (come ai bambini), chiede da mangiare in continuazione (come i bambini), più gli parli e più lui impara (come i bambini) e se gli tiri la coda scoreggia (qui la differenza sta solo nell’avere la coda)…perciò tanto valeva avere un bambino, se non altro la fase di…”inserimento pile” sarebbe stata sicuramente più soddisfacente.
Poi ha molteplici personalità, la più gettonata sembra essere il “figlio di mignotta”: chiede di essere abbracciato e mentre lo fai lui ti sfila il portafoglio e cambia il nome alle cose, tipo “finanziamento pubblico” con “rimborso elettorale” e “ICI” con “imu/tares/tarsi/suppostone”.

Cercando su internet ho trovato testimonianze deliranti: qualcuno l’ha chiuso nell’armadio, ma lui continua a parlare, altri l’hanno messo in punizione perchè ha ruttato in Duomo durante la Santa Messa natalizia, altri ancora stanno pensando di darlo in affido a un’altra famiglia.

Io lo confesso, mi ci sto affezionando, ormai è diventato uno di noi e dopo che si è addormentato durante il pranzo di Natale rincoglionito dai discorsi della suocera, ho deciso di inserirlo di diritto nello stato di famiglia.

Per stare al sicuro però seguo tre semplici regole: mai esporlo alla luce, mai farlo bagnare, mai nutrirlo dopo mezzanotte.
Perchè come dice Giobbe Covatta “nella città di Sodoma nessuno si affacciava al davanzale perchè anche in famiglia ci si fidava poco”.