Marta fa il libera tutti.

Marta sopravvive in una piazza vuota senza far rumore tra una pizzeria e un caffè,

lei ti guarda e ride quando la sua rabbia non riesce a contenerla dentro sé

un vestito rosso, scarpe senza tacco, labbra di cristallo le ginocchia al petto senza età,

e certe giornate si diverte a indovinare il destino di qualcuno che passa e che va,

Quello è un tipo strano, forse è innamorato e non si rassegna a scrivere sui muri frasi sovversive tipo tu sei mia

Marta che sospira, fuma una marlboro, butta fuori l’aria e la guarda andare via.

Se solo anche i ricordi, quelli spaventosi, fossero solubili in lacrime e bestemmie, o potessero affogare alla fine del bicchiere senza riaffiorare allora sì,

sì che si potrebbe respirare, correre e lasciarsi andare, senza la paura di cadere, avere soltanto l’urgenza di esserci.

Marta che cammina, stringe fra le mani, una birra media e la faccia di suo padre che le urla contro frasi scellerate con il pugno in aria già da un po’

Uno sulla schiena, uno sul costato, uno sulla bocca per provare in tutti i modi a cancellarle quel sorriso che si ostina a stare su,

Ma la paura del dolore non era mai abbastanza per farle dire “basta, io mi arrendo adesso, hai vinto tu”,

Marta porta addosso tutti i segni del passato, ma non sono quelli sulla pelle a fare male a farla smettere di respirare proprio no,

certe cicatrici non si fanno mai vedere, come vipere di bosco, escono di notte spargono veleno senza antidoto.

E non ti puoi salvare, non c’è un cazzo da fare, devi lasciarti torturare fino quasi a scomparire, finché non vanno via.

Che certi pensieri sono spaventosi, vivono in simbiosi come fossero due sposi il terrore e la follia.

Marta se ne andò, aveva sedici anni, si lasciò alle spalle, un uomo mostruoso e una madre che sapeva e non parlava, arresa ormai

E tutte le serate a sputare sangue per i pugni presi non avrebbero raggiunto il grado di dolore di quelle parole dette mai.

Marta si è salvata, forse non del tutto, ma ci sta provando a regalarsi il sogno di una vita presa contromano come certa musica,

lei ci sta provando, coi suoi occhi asciutti, a nascondersi dietro a un sospiro e fare “libera tutti” all’anima.

Marta è la nostra terza onda, quella che restituisce tutto, le immagini più belle, ricordi profumati, lenzuola stese al sole e brividi di sale,

lei si è rialzata dopo ogni caduta, perché Marta è sempre stata viva e non sopravvissuta.

Se Marta fosse una canzona sarebbe questa: L’anima non conta (Zen Circus)https://www.youtube.com/watch?v=TtLcvqCCXBI

La musica di Matilde.

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Erano le 23:30 e il regionale 11740 arrivava distratto al binario 6, distratto e leggero, con rumori e fischi conosciuti, talmente conosciuti che passavano inosservati. Silenziosi direi.
Matilde guardò fuori dal finestrino del vagone, il cartello appeso al soffitto diceva “Firenze S.M.N.”. Se ne stava lì, immobile, il cartello, come un’altalena sopra i visi della gente, con quel nome freddo e tassativo, avvisandola che era giunto il momento di scendere. Dal vagone, dal libro che teneva fra le mani e dalla sua vita. Anche se ancora non lo sapeva.

Le stazioni, alla fine, sono tutte uguali, un po’ deserte, un po’ distanti dal mondo, le persone parlano sottovoce come se fossero in chiesa, o almeno, così le immaginava Matilde. Tutte quelle persone che camminano sicure, come se stessero attraversando un incrocio con il verde al semaforo, si sfiorano senza toccarsi, si vedono senza guardarsi. Ma in tutte le stazioni, qualunque sia la stagione, in tutte, sempre, soffia uno strano vento freddo.

Matilde controlla le lettere che corrono veloci sul tabellone degli orari, il treno per Bologna è stato cancellato, soppresso, svanito nel nulla. Il prossimo parte alle 4:35.
Vorrebbe chiedere informazioni, ma non può e comunque, non servirebbe. Tira fuori un blocchetto dalla borsa e una penna dalla tasca dei jeans, sta per scrivere qualcosa, poi ci ripensa, alza gli occhi al cielo e decide di uscire da quella dimensione  di finta realtà, tiene la penna fra le dita, è il suo ago per far scoppiare la sua bolla e riprendere contatto con la vita.

Matilde cammina verso l’uscita leggendo i messaggi dei cartelli appesi al muro, Andrea verso l’entrata leggendo i messaggi di un addio appeso al telefono. Si scontrano. Un impatto frontale, uno scontro devastante e senza sangue, l’incidente di un risveglio. Non c’era nessun incrocio, nessun semaforo da rispettare, nessuna direzione precisa da inseguire, forse è per questo che si sono sfiorati e toccati, visti e guardati.

“Perdonami ero distratto, ti sei fatta male?” Matilde sorride e dice no con la testa,
“Per farmi perdonare posso offrirti da bere?” lei sorride, non risponde ma sorride. Ancora,
“Ma non sei italiana? Capisci la mia lingua?” lei annuisce e Andrea prende il “Sì” come risposta, lo prende per entrambe le domande.
“Ok, facciamo così, parlo solo io, tu ascolti e basta, ci stai?”. Lei sorride e quello è il “Sì” più bello che potesse pronunciare.

Camminano vicini, lui parla dei suoi progetti, di un amore finito all’improvviso, dell’estate che sta per arrivare, che dicono sarà una delle più calde del secolo.
Parla di un viaggio a Copenaghen, della gente di lassù che sorride con un suono di monete cadute in un piatto di vetro, parla della musica, di come l’ha amato e tradito e poi amato ancora e poi tradito. Ancora. Tira fuori l’ipod dalla tasca della giacca, dicendo “ascolta e se ti piace, fammelo capire. Se ti piace sorridi.”. Lei non sorride, ma si mette a ballare, su un tempo tutto suo, fregandosene della cassa e del rullante della batteria, balla anche se la musica è finita da un pezzo, balla perché ha bisogno di farlo, perché è il suo modo di andare oltre le parole della gente, oltre i pensieri, oltre i pregiudizi. Ad occhi chiusi balla, come se il tempo si fosse dilatato,balla perché questa notte sta per finire e chissà quando ce ne sarà un’altra così, balla tenendo le mani di Andrea che non dice niente. E sorride.

Sono le 4:30 del mattino, il treno per Bologna sta arrivando, Matilde lascia la mano di Andrea, tira fuori un blocchetto dalla borsa e una penna dalla tasca dei jeans, la usa come un ago per far esplodere la bolla che la tiene prigioniera, scrive qualcosa, si avvicina ad Andrea, gli mette la mano destra sul petto, all’altezza del cuore, con la sinistra  gli lascia un foglio fra le dita, lo guarda negli occhi, lo bacia sulle labbra. Sorride.

4.40, il treno è stato inghiottito dalle luci del mattino, Andrea legge le parole disegnate sopra il foglio “Mi chiamo Matilde, almeno credo, non sono straniera, almeno credo, non ho mai udito nessun suono in tutta la mia vita, ma se l’amore è una musica, allora stanotte ti ho amato”.

Perché a certe notti, come a certi amori, non servono parole da pronunciare, cadono così, come cade l’umidità sopra i panni stesi al tramonto. Perché certe emozioni non hanno bisogno di essere tradotte, non vanno spiegate, sarebbe riduttivo, devono essere così: perfette e indefinite. Perché capirsi senza parole è come baciarsi al buio dei portoni, è prendersi le mani incrociando le dita in un un’unica esistenza, è avere qualcuno che arriva alle spalle mettendoti le braccia intorno alla vita. Intorno a tutta la tua vita.

Sono le 7 del mattino, Firenze si è svegliata, Andrea cammina distratto per le vie del centro, ha gli auricolari nelle orecchie, un foglietto nel taschino della giacca, sfiora le persone che camminano veloci, le sfiora senza toccarle, le guarda senza vederle.

E sorride..

“E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio” (Tiziano Terzani).

Matilde stanotte ha ballato su questa canzone (Tonight, Tonight – The Smashing Pumpkins)

#lasciamisognareinpace.

Esistono cose che non riusciamo a vedere, ma questo non significa che non ci siano.

Quando ti imbatti in una di esse, meravigliati. Sono le illusioni, i sogni, i desideri.
E quindi stupisciti che son fatti per quello, per essere vissuti per quello che sono: punte di spilli di magia assoluta e la magia non va spiegata.

E allora assaporale le gioie infinite, ma anche i dolori, che serve comunque per imparare a gestirli, come quei mostri che ti mangeranno il sonno, come quel senso di vuoto assordante che sentirai ogni volta che perderai il passo, per fermarti a guardare due occhi graffianti, che ti prendono alle spalle e non ti molleranno più.

E allora innamorati e gridalo al mondo, che c’è bisogno di un po’ di frastuono, che a fare silenzio si prendono spintoni, che a fare silenzio si viene calpestati.
Innamorati e vivilo all’ultimo respiro che in questo caso è magia davvero e se il tuo illusionista non saprà stupirti, fatti rimborsare, che certe occasioni vanno prese di faccia, che se non lasciano segni saranno giorni sprecati.

E allora sgrana gli occhi e portali in giro, che fa sempre comodo avere più luce, tu portali in giro e scrivilo sui muri “ok sono strana, ma lasciami sognare in pace”.
E non ti stancare di essere curiosa, che cose da capire ce ne sono a milioni, ma ci saranno alcune che non saprai spiegarti, e sarà inutile cercare un motivo, perché il trucco stavolta davvero non c’è.

E prenditi il tempo per goderti lo spettacolo, che i prestigiatori sono sul palcoscenico e loro lo sanno che c’è la voglia di restare a bocca aperta, che la realtà ogni tanto si ferma a guardare e saranno minuti che ti resteranno addosso, perché certe illusioni ti serviranno davvero.

E allora fregatene di rimanere con i piedi per terra, che le cose invisibili sono la vera magia. E faglielo capire che abbiamo bisogno di essere ingannati.
E non farci caso a chi ti dice “fai piano”, tu sogna più forte e lasciali parlare, che i bambini lo sanno ciò che conta davvero, fai la brava prosegui e tutto andrà bene.
E se non sai cosa fare agisci d’istinto, fai l’inchino e sorridi.
E abracadabra.

“Non si deve mai dire a un bambino che i sogni sono sciocchezze : sarebbe una tragedia se lo credesse.” (Paulo Coelho

Qualunque cosa accada, fai sempre A modo tuo.

Dentro un sogno d’amianto.

E allora scrivi, per non sentire il tempo che passa, per non vedere gli anni cadere, per dire che non ti basta veder passare i tuoi giorni.

Scrivi, perché devi far uscire la sabbia dai polmoni, perché in quella sabbia ci sono i tuoi sogni interrotti e fanno un male bastardo.
Scrivi, perché in qualche modo devi pur sopravvivere, parla dei momenti in cui vorresti strappare il cuore e piantarlo al muro per farlo parlare, per sentire che cazzo c’ha da urlare così forte, che non sei sordo, che qui c’è gente che vorrebbe riposare.

E allora scrivi, parla di cose che non sai, di persone andate, di storie finite, delle tue dita che fanno vibrare una chitarra acustica che non suonava da anni, della tua voce che segue le note ed esce impastata, di quando salivi su un palco e ti piantavano un microfono davanti e lì, in quel preciso istante, vivevi davvero.

E allora scrivi France, come ti viene, che tanto sono le 3 di notte, chi vuoi che se ne accorga se sbagli gli accenti, che a quest’ora si sa, non esce mai niente di buono, ma tu fregatene e continua a battere le dita sui tasti, e se anche nessuno leggerà mai, va comunque bene così.
Lo stai facendo solo per te, perché stanotte sei egoista, perché ne hai bisogno, perché ogni tanto l’anima deve riuscire a prendere aria.

Scrivi, che se scrivi non verranno a cercarti, che se scrivi non sanno chi sei, non saranno capaci di spezzarti il respiro, se metti in fila parola riesci a fregarli, se muovi le dita racconti il tuo blues. Se muovi le dita riesci volare.
E scrivi di te, che adesso puoi farlo, che a quest’ora chi vuoi che ti stia ad ascoltare, racconta il tuo mondo che è qui e ne senti il respiro, in questo silenzio ne intuisci i contorni, che alcuni giorni passati sono stati un regalo, che preghi ogni giorno che lei sia felice davvero, che mica è un reato stare bene ad oltranza, che tu ne hai bisogno di quegli occhi assordanti, che in quel tempo passato abbracciati sembrava tutto perfetto.

E raccontalo al mondo di quella smania imprecisa, che di giorno la lasci nascosta a dovere, ma con il buio riappare e sembra che voglia incendiare i tuoi sogni d’amianto. Che i sogni si sa, prendono fuoco con poco.

Scrivi, che fino a domani nessuno vorrà più sapere se stai bene o stai male e le facce che fai saranno sempre le stesse, solo i sorrisi sono meno impulsivi, ma chi vuoi che se ne accorga, io e te lo sappiamo che siamo bravi a celare un fremito di disperazione dietro a un solco sul viso.

E allora chiudi gli occhi, roba di un minuto, che la vita è in attesa dei tuoi passi all’assalto e se senti che cedi stringi i pugni più forte, che le botte che hai preso fanno male sul serio e non c’è più motivo di aspettare che il dolore svanisca da solo.

Respira Francesco che domani è arrivato e dobbiamo riuscire a trovare le scuse migliori per non lasciarsi affogare. E se non sai come fare, dai retta a me, con i denti serrati e le mani tremanti, prendi fiato. E poi scrivi.

“Un sognatore e’ colui che puo’ solo trovare la sua strada dalla luce
della luna, e la sua punizione e’ che vede l’alba prima del resto del mondo.”
Oscar Wilde

Oltre all’originale, questa è la versione che preferisco. Ve la presto, speriamo ci aiuti a sentirsi vivi.

…di speranze e di sogni.

padre

Nella mia vita ho fatto veramente poche cose giuste, ma una di queste l’ho cercata, fortemente voluta e infine, quando tutto sembrava perduto, ottenuta.

E’ una di quelle situazioni che quando ti accandono ti stravolgono la vita, ti fanno passare notti insonni e sono le notti più belle che avrai mai in tutta la tua vita, ti faranno sporcare le mani e non vedi l’ora che succeda per sentirti utile.

Sono quel tipo di cose che ti faranno tirar fuori le palle e gestire situazioni che neanche immaginavi di essere in grado di gestire, dovrai essere duro anche se la voglia di dare un bacio a stampo sarà incontrollabile, ti sentirai veramente utile e alcune volte indispensabile.

Ti assumerai responsabilità molto più grandi di te, troppo più grandi di te, che anche se hai un po’ di capelli bianchi cavolo mica te la senti la tua età e nessuno si è ricordato di darti le istruzioni e allora improvvisi e incroci le dita, perchè anche se hai un po’ di gente intorno, alla fine dovrai dire la tua, e non sarà una cosa da poco.

Ti ritroverai ad uscire in piena notte con i nervi a fior di pelle e l’angoscia che non ti fa respirare, con una rabbia dentro che si scioglierà al primo sguardo.

E cercherai di dare sempre il meglio di te o almeno, il meglio di ciò che hai imparato, ma non potrai comunque evitare dolori, saprai esattamente come andranno le cose e tu non potrai far niente per evitarlo e questo ti strapperà l’anima, ma lo accetterai.

Dovrai mascherare sofferenze insopportabili, dare una dimensione accettabile ai tuoi sentimenti, perchè certi gesti che fino a qualche anno prima erano naturali, ad un certo punto diventeranno quasi fastidiosi.

Dovrai imparare a vedere il mondo attraverso altri occhi e insieme a quegli occhi imparerai cose nuove e ne dimenticherai altre e sarai un po’ più grande, e loro con te.

Farai un sacco di errori e combinerai casini, a volte vorresti davvero mollare tutto e dire “grazie, ci ho provato, sarà per la prossima volta”, ma non puoi permettertelo, ma cristo, a volte vorresti davvero essere altrove, a volte.

Dirai cose che non pensi e accetterai compromessi, riceverai sorrisi e daresti qualunque cosa perchè quei sorrisi non finissero mai

Dovrai gridare e riceverai grida, dio quante grida, di rabbia, di gioia, di affetto, di amore assoluto, parole vomitate a fiumi, pesanti come macigni che sarai obbligato a dimenticare.

Dovrai insegnare cose che non sai, cambiare idea, rimangiarti la parola e farti odiare per questo, spiegare, crecare il perdono senza poterlo chiedere.

Arriverai a compredere che non sei stato affatto un grand’uomo e spererai con tutto il tuo dannato cuore che almeno tua figlia possa essere migliore di te, che riesca ad essere veramente felice, che abbia una vita piena, perchè se fosse così, se veramente fosse così, allora forse, una piccolissima cosa giusta nella vita l’avrai fatta davvero.